Questa volta la rubrica Cyberprog7 resta rigorosamente nell’alveo del cyberpunk e propone uno degli innumerevoli episodi del voluminoso romanzo cyber-sperimentale “Progetto NO”. Tenete conto che una mia conoscenza, una gastroenterologa un po’ snob e altrettanto fobica, dopo aver letto questo brano in un altro sito dove lo pubblicai diverso tempo fa, molto preoccupata che io fossi un pericoloso collaudatore di mortai e collezionista di machete, una volta mi disse, con voce un po’ tremante: “Senta, non dubiti di me, eh? Perché io non le direi mai nulla di storto, anzi porto lei nel cuore da diverso tempo… Come si fa il segno del cuore?..” E io gelido le ho risposto: “Ma falla finita!”
Ahah!
Nel convulso di una serie di sventramenti urbanistici di Denver, voluti dal perfido dr. Molese e eseguiti con enormi pestelli transformer con alettoni d’amianto, una specie di godzilla umano più largo che lungo, di nome Wrusthor, si stava arrampicando in fretta su una funivia a otto corsie che sorvolava i palazzi della zona tagliando il cielo grigio e amaranto, perché dopo aver rubato un taxi e aver attraversato a 90 all’ora il mercato, aveva visto un gruppo di megazannuti ritardati ed aveva pensato bene di scippargli il reattore fatto in casa che stavano trasportando con delle grosse stringhe bianche e tre ganci di carne e bauxite. Uno di questi però lo vide arrivare con la coda dell’occhio e si voltò mettendo di fronte al suo sterno tutti e tre i suoi gomiti a fiocina. «Ma c’hai la pastella, nel cervelletto?» gli urlò contro Wrusthor atterrandogli con uno dei suoi piedoni in faccia e staccandogli al volo con una enorme pinza uno dei gomiti, che precipitò verso il basso incendiandosi. Gli altri zannuti riuscirono ad organizzarsi in una difesa improvvisata e uno di loro gli affondò le fauci su una spalla staccandogliene un pezzo consistente, ma col punteruolo-bazooka Wrusthor fece una piroetta facendo perno sui suoi genitali a trottola, e ne infilzò tre, staccandosi poi da quella corsia per andare ad aggiungersi a una fila di vermi con le gambe, che procedevano in senso inverso. In dieci secondi fu oltre la vista, poi si sganciò dalla funivia ed entrò in una piattaforma col doppiofondo che sporgeva dal grattacielo smangiucchiato della Tyrrell-Banfi. Questo per dire che il Wrusthor era un tipo apparentemente piuttosto vitale, anche se aveva un difetto di pronuncia che gli faceva dire wrustel al posto di würstel, quando parlava della sua pizza preferita. Ma lui diceva che si confondeva col suo nome. La verità era un’altra: per quanto riguarda il linguaggio, va detto che lui aveva imparato, nei suoi ventitre anni di vita, solo le tecniche di guerriglia, e quando il suo tutor di arti marziali lo aveva mandato ad una scuola serale, lui poi l’aveva data alle fiamme.
Per quanto concerne invece la vitalità, quella di Wrusthor era minata da un elemento della sua vita di cui non riusciva a disfarsi. In quel momento, alle 19:10 di un lunedì assillato dal puzzo di cadaveri, in quella zona di Denver, lui stava appunto ripensandoci, sdraiato accanto al rotore che aveva scippato agli zannuti, e sanguinante dalla spalla menomata. Era in un’aviorimessa abbandonata, al quindicesimo piano di una torre per l’allevamento di droni-topo, dove andava per prendere pezzi di ricambio e costati di manzo per nuovi innesti, ma in quel momento procedeva con lentezza nel rimpiazzare la ciccia persa nello scontro, perché stava ripensando al motivo del suo malessere: il lunedì di undici anni esatti prima, lui era un piccolo essere malvagio e schiacciato in testa, ma era già sessualmente fin troppo sviluppato… E allora quel giorno volle farsi un regalo: ad un’asta rionale, cinquanta metri sottoterra, all’altezza della Quattordicesima, trovò una porca, un feticcio scolastico degli anni ’80 del Novecento, si chiamava Agnaño ma era piccola e riccia. Lui se la aggiudicò con 1100 petroldollari e con l’aerochopper se la portò nella buca sul fianco del complesso della Q8 dove viveva al tempo. Lì le insegnò a decifrare le previsioni del tempo leggendole sui suoi tatuaggi cangianti, e a cambiargli l’olio nel serbatoio delle palle. Ma ben presto quella prese l’abitudine di andare in giro da sola come faceva prima, appiccicarsi a zoccole di dubbia origine e poi tornare al cosiddetto ovile dove lo aspettava al buio per aggredirlo, un po’ per capriccio, un po’ per prendergli soldi e buste piene di liquido seminale addensato, una specie di silicone aromatizzato alla cannella, molto ricercato dai medici irregolari che producevano bufalotti da combattimento.
Provò a lasciarla una dozzina di volte dopo averle ogni volta svitato l’utero con uno spremiagrumi elettronico, ma quella dopo tre-quattro giorni tornava e gli si rimetteva a cavalcioni. Lui aveva dei conati di vomito quando lei gli tamburellava col culo sui testicoli. Anche se era solo un segno d’impazienza, lui lo prendeva come un fatto personale e piangeva come un vitello, dicendo che non è facile liberarsi dalle trappole quando uno ci casca dentro con tutte le scarpe. Lei sonnecchiava di giorno, poi usciva, andava a sventolarla un po’ in giro con gli operai del settore Est e poi la sera tornava e gliela dava senza neanche averla ripettinata. Lui scoprì che gli erano venute delle fantasie sessuali funeree e presto capì perché: lei, Agnaño, quando andava con gli operai, li stroncava con una cucitrice per tavole di plastica, e poi si prendeva il filmato dell’ultima scena che avevano visto mentre erano collegati in sogno con lei, scopando ingobbiti. Wrusthor la sera vedeva quei video e scopriva che quelli erano morti strabuzzando le orecchie, o erano entrati in coma ingoiandosi il pene da soli, oppure s’erano straniti perché lei gli aveva sostituito le vertebre dorsali con pezzi di stampella per abiti, e tutto questo lo portava alla disperazione.
Sapete perché? Perché lo apprendeva nel sonno, quando i suoi condizionamenti da strappacapocce erano affievoliti. La sua storia e l’imprinting iniziale del programmatore lo avevano salvato da un’adolescenza travagliata avviandolo invece subito sul solco della criminalità. La sua storia lo aveva poi definitivamente vaccinato, almeno nella superficie della sua corteccia, ma in questi ultimi anni passati con quella cretina di Agnaño aveva scoperto che lui, di notte, se veniva condannato a seguire il dolore altrui, quello degli operai, vi ritrovava traccia della propria sofferenza, ritraendo poi, in ombre distorte, persone e situazioni i cui negativi lo perseguitano anche di giorno, come fantasmi. Dopo un’ennesima volta in cui aveva copulato con Agnaño le disse che aveva intenzione di smettere di mantenerla e di volersi dedicare, in quella fase della propria vita, a scansionare il paesaggio canadese, per trovare pace in quelle immense lastre d’asfalto e per non dover più incamerare la tristezza degli altri. Ma lei a quel punto compì il suo atto di suprema crudeltà, considerando che quella piccoletta era un’arpia con la faccia abrasa e lui era tutto corrucciato per questa lunga convivenza; lei gli disse «Ma io ti amo!» Quando sentì quest’abominio concettuale, Wrusthor sentì la propria mente invasa all’istante da una nidiata di fantasie sessuali indecorose, mentre intere categorie di neuroni abbassavano la saracinesca. Capì allora che uno come lui sopravviveva solo finché teveva separati l’azione e il sapere: ora che aveva sperimentato la conoscenza del dolore altrui e che quella porca gli aveva detto quella solenne boiata, simbolo della fragilità universale, altro che azione: non sarebbe andato più da nessuna parte. Fece appena in tempo a proiettare mentalmente, in modo inconsulto, dei manifesti di morte e putrefazione cerebrale sulle piste di scorrimento tangenziale della città e poi si tagliò in due con una scimitarra elettrica, partendo dagli inguini e risalendo su fino al collo. Una volta arrivato fin lì la testa esplose come una fabbrica di granate, coinvolgendo nell’esplosione anche Agnaño, che perse entrambe le mani, con cui stava facendo il segno del cuore!
lun 28/7/2014 17:33
il7 – Marco Settembre