“Empatia” – racconto da sole 100 parole

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Oggi questa rubrica futuribile ma che, come richiede il genere fantascientifico nelle sue declinazioni più evolute, guarda anche ai problemi del presente e a costanti psico-antropologiche della natura umana, vi propone qualcosa di diverso dalle altre puntate: un microracconto di sole 100 parole, quindi una decina di righe (contate tutto, se non ci credete 😉 ), che quindi è un esercizio di stile concepito per dimostrare come si possa imbastire una storia con un inizio, uno sviluppo e una conclusione, e anche mantenendo la weirdness, la stranezza, in poco spazio, ricorrendo ad una qualità della scrittura, la sintesi, che alcuni pensano non sia nelle mie corde. E invece io credo semplicemente che ogni strumento e ogni aspetto vadano contestualizzati al momento giusto. Si può avere un periodare complesso quando ci si impegna a fare i postmodernisti alla David Foster Wallace, ma quando c’è da trattare una scena d’azione è opportuno anche ricorrere a frasi secche e incisive. In questo caso, il tema del confronto tra una forma di vita aliena e i terrestri è trattato con l’ottica del ribaltamento: è possibile che i tradizionalmente temuti alieni siano più evoluti di noi e anche pacifici e riflessivi, mentre i rappresentanti dell’umanità appaiano ad un occhio esterno come tarati da atteggiamenti e comportamenti illogici, sconcertanti e perfino ignobili, in molti casi. Per fortuna non siamo tutti uguali e c’è anche chi si comporta correttamente e con sensibilità, come risulta nei commenti al testo, grazie ai contributi del critico Alfredo M. Barbagallo, che ringrazio sentitamente. E i ringraziamenti sono anche per l’ironia e la disposizione para-cyberpunk: pare che un paio di volte abbia respinto degli assalitori usando i gomiti rinforzati da puntali in ottone elettrificati. Ha fatto benone! 😉

Coppia disfunzionale assurda di terrestri – osservata da alieni

Empatia

Quanto più l’alieno ultrarazionale si impegnava nel comunicare, tanto più coglieva sorprendenti reazioni delle creature del pianeta colonizzato. 
Il suo simile, specializzato in Space Storytelling, annuì:
“Mai viste manifestazioni così devianti!”
“Probabilmente si esprimono per paradossi”.
“Io però mi sento offeso; non hanno molta empatia, temo”.
In effetti, si erano imbattuti in Grace, la dissociata di Jacksonville, che uscendo dal tinello aveva detto: “Non ti mando a fanculo solo per non farmi venire i sensi di colpa”, e il nevrotico marito Albert le aveva risposto: “Se ti riferisci davvero a te stessa, dovresti spiegarmi perché questi alieni stanno fissando ME!”

il7 – Marco Settembre

Commenti:
Alfredo Maria Barbagallo:
“Testo di precisione spettacolare. Potremmo addirittura definirlo come testo-metronomo. Ad ogni frase ne segue una di corrispondenza addirittura perfetta, sino alla memorabile conseguenza tra la mandata (a fanc…) ed il senso di colpa. La conclusione è devastante per ogni modello di empatia che cada nel pantano delle confusioni di ruolo ed infine anche di identità”.

il7 – Marco Settembre:
Ringrazio sentitamente Alfredo: è lui il mio “metronomo” critico. Vorrei però approfondire le corrispondenze mostrando, di converso, anche le succulente antinomie. Mentre gli alieni sono ultrarazionali, e solo uno di loro ha anche la tolleranza per supporre che gli abitanti dello strano pianeta si esprimano volontariamente (possibile?) con paradossi, i due terrestri viceversa non brillano per logica, direi, e anzi di certo non rappresentano i migliori esemplari della loro specie. Infatti, Grace è una dissociata che, mentre nega di voler mandare a fanc. il marito, di fatto lo fa, e quindi il lettore le augura di essere divorata lo stesso dai sensi di colpa al di là dell’ipocrita tentativo di trattenersi, e invece Albert appare come succube ma in realtà si sa bene che è nevrotico, e sicuramente anche arrogante e peggio, per cui è naturale che i due alieni fissino lui: è il peggiore di tutta la famiglia!”

Alfredo Maria Barbagallo:
“Grazie. È in effetti il punto centrale della questione. E va al di là del solito stereotipo da “Ultimatum alla Terra” per cui l’alieno è necessariamente più INTELLIGENTE. Perchè qui si va al di là dell’intelligenza. Si entra nel carattere e nel comportamento. L’immagine del racconto di Marco è semplice, lineare e insieme ha l’eccezionale valore aggiunto del kitsch. Perchè la presenza aliena non solo è intelligente ma inoltre si autocontrolla dimostrando carattere ma soprattutto propensione analitica. Mentre quella umana si allarga ad un ventaglio di private mediocrità, cafonaggini relazionali, aridità comunicativa. Cioè esattamente ciò che accade talora nella realtà e che accadrebbe anche se questo contesto si realizzasse autenticamente, ovvero certi comportamenti si manifesterebbero forse irrefrenabilmente anche dinanzi agli occhi di una civiltà che è veramente tale”.

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