Gli scassamenti di ammenicoli continuano, e non si sa se sia più fastidioso o più noioso superare le seccature e ricompattarsi di volta in volta, però ogni tanto – troppo raramente per i miei gusti – capita qualcosa di positivo, che si scrive, che si pubblica, che si legge o magari anche che si sogna. In questo caso, durante la lettura di un racconto contenuto nella rivista Massacro (n. 2, a cui ho contribuito anch’io, against all odds) a un certo punto mi son grattato un po’ di barba incolta e mi son detto: “Se davvero ci fosse un dio, sarebbe savvero un tipo con una fantasia malaticcia, perché quando gli chiedo mezzi miracoli non muove un dito, ma poi all’improvviso, mentre sto spalando merda per altre vicende, mi fa incappare in una foto “proibita” di Trump che viene portato via in manette (yeah!!!) o mi dà la possibilità di sbafarmi un ottimamente cesellato racconto horror con tanti echi, come “Il Signore degli scarafaggi” di Alessandro “Kresta” Pedretta, che è privo di una vera cresta ma che può alzarla ogni tanto in chat, del tutto a sproposito (so cosa sto dicendo). Ebbene, io sono un po’ “impicciato”, a volte, e con una articolata scala delle priorità, per cui non riesco sempre a fare tutto quello che vorrei, quindi ho acquistato alcune sue opere ma non le ho ancora lette (si apprezzi la sincerità), ma quando di fatto leggo qua e là alcuni brani o estratti dell’autore/editore de La nuova carne invariabilmente esclamo: “Ma guarda tu: un altro tanghero letterato fissato come me con la densità delle idee, del lessico e dello sconforto!” Quindi va bene, penserete voi! E io: certo, perché oltretutto qui dimostra di essere tosto come sempre ma di non avere tutto ‘sto gran debole per gli scarafaggi, altrimenti si sarebbe tenuto alle immediate calcagna del Kafka di “La metamorfosi”, di Disch (suo il celebre racconto “La Signora degli scarafaggi”) o di Thomas Page (autore di “La piaga Efesto”, romanzo apocalittico su un’invasione di una specie particolare di questi insetti). E invece Pedretta li tiene, i mostriciattoli zampettuti, come elemento disgustoso compresente, ma soprattutto si concentra su una figura vagamente alla Evangelisti (R.I.P. questo grande Magister che ci ha lasciato da poco) che infatti furoreggia, pur col suo modo di fare sordido, in un ambiente ristretto e criptico prevalentemente di tipo gotico (quindi con tratti architettonici non moderni, tendenti all’aulico ma divorato da ombre e presenze immonde), un gotico sfatto perchè miseramente accennato ma soprattutto imbarbarito da un’unidità ignobile e maleodorante. Il motivo per cui ‘sto “gentiluomo” ieratico si aggira là dentro con una serie di suoi adepti mascherati e balordi pare sia la volontà di sopravvivere per un po’ e riuscire infine a risalire in superficie quando sfumeranno gli effetti ferali della precedente catastrofe mondiale bestemmiabile – quale che essa sia, perché lui stesso può solo formulare ipotesi, tutte di certo meravigliose, mancando lì evidentemente una carcassa di televisore che trasmetta flashes farlocchi di qualche notiziario presentato da un anchor man stronzo che a scuola prendeva 4- (anche in questo caso, ogni riferimento è decisamente voluto).
Bon! Certamente la misura breve del racconto non consentiva – anche per motivi di impaginazione, forse – uno svolgimento più articolato e incasinato e malvagio, però il dato essenziale è che la banda agli ordini del Signore si compiace, anzi si diverte proprio, a dare la caccia a demoni che hanno capito che non comandano più loro. I vari Lupo, Scimmia, Saul, etc., si attardano in superficie a catturarne uno, perché presumibilmente cazzeggiano, sbevazzano robe luride e sputano oscenità; intanto, il capo descrive l’ambiente malsano a noi lettori, che quindi siamo concentrati claustrofobicamente in quello Spazio e in quel Tempo. Non ci pisciamo sotto e anzi pensiamo che forse quella brigata della buona morte sta forse facendo un lavoro di pulizia, anche se a modo loro. Eppure, ricordando un minchione nanerottolo che una volta stava ciarlando di lati cattivi del carattere -forse si riferiva a me ma era troppo coniglio per dirlo apertamente, peraltro sbagliando – si scopre poi, proprio quando la banda sta smistando due esemplari di demoni catturati, decidendo cosa farne, che loro veramente hanno un lato orrendo del loro essere. Sarà per la fame, che attanaglia pure il cervello di chi è sopravvissuto a un cataclisma della minchia? Forse; concediamogli quest’attenuante, anche se è difficile fare il tifo per questi strappaciccia settari, sicuramente con le unghie sporche. Ma poi capita qualcosa che sarebbe il vero colpo di scena e che ci toglie ogni dubbio e che, al di là di qualche interrogativo che serpeggia tra loro, li qualifica come opportunisti da bassa macelleria. Rimestatori delle carni sventrate, gente che di certo, anche se ne avesse a disposizione, non si delizierebbe mai e poi mai di pasticcini alla mandorla. Chiarisco subito però che anche se io appunto sono di una “pasta” diversa, se vent’anni fa qualcuno di questi stercocefali m’avesse increspato l’anima con atteggiamenti sbagliati e flatulenze verbali, ero un tale atleta che l’avrei capovolti a calci a appesi per l’epiglottide a un palo della luce al Laurentino 38, dove forse abitano, ‘sti coglioni. E non è che ho un lato sgradevole del carattere, anzi!, ma piuttosto reagisco e mi faccio rispettare. Adesso un po’ meno, perché gli anni passano, sono meno allenato, leggo ‘sti racconti horror e dico “Ok, ma quando me ne vado in pensione?” e rido; ma buon sangue non mente, e quindi tra il serio e il faceto ‘sta recensione intanto sta uscendo fuori così.
Con Pedretta siamo in mani (sanguinolente) sicure, e lui veicola anche di solito messaggi anticapitalisti contro l’alienazione e condendo la narrazione con ambientazioni e rimuginamenti alla Ballard come nel suo “Lo sfasciacarrozze”, e da editore fa le cose dannatamente per bene, no doubt. Il problema è che l’essere umano c’ha i suoi rodimenti, e quando riesce ad avere un po’ di potere, magari come editore, lo usa, in qualche modo, e si crea una cintura di vassalli come il Signore degli scarafaggi, che, se quelli gli trasmettono pregiudizi su un tipo solitario esacerbato che c’ha due cicatrici sul fegato, lui allora per proteggere la sua cripta ci crede e tira a quel cane sciolto una fila di miccette accese. Grottesco! Ovviamente, il tutto ha un suo perché in chiave narratologica, seppure anarcoide: l’”eroe“, anziché essere qui scalcagnato, ha il cuoio sulla faccia, e una tunica, e si presenta subito con la presa salda sugli eventi, anche se l’obiettivo è fumoso, lontano e difficile da raggiungere (il recupero del pianeta); perché i mostri chiamati diavoli, cioè il nemico storico di noi tutti, sono (è) in ginocchio; e gli aiutanti di lui, che hanno sempre una importante funzione fin dalla “Morfologia della fiaba” (si veda il celeberrimo saggio di Propp con questo titolo) sembrano fedeli ma vanno mantenuti sotto controllo, anche se poi c’è l’orrore ingiustificabile che fa saltare gli schemi.
Ma – adesso devio io stesso (ancora di più) dal binario prestabilito della recensione ortodossa – pure l’esacerbato che vaga in cerca di qualche anfratto e di qualche alleato da cui iniziare a ricostruire non è detto che debba essere respinto con diffidenza usando un forcone arroventato, no? Potrei essere io, quello! Cazzo, scrivo ‘ste recensioni anche per dimostrare che ho studiato ma che non per questo c’ho la rogna (e anzi gioco un po’ a fare il buffalmacco), né ho mai stuprato uno xenomorfo, né ho mai avvelenato il pozzo d’acqua dove vanno ad abbeverarsi le suore pazze del New England o del Circeo! E invece, nella continuazione ideale del racconto, il Signore, con un manto di brulicanti scarafaggi addosso, sulla tunica bruna ambrata, spunta fuori dal fortino catacombale, scorge il cane sciolto e gli tuona: “Tu! Tu non stai bene per niente, porca merda, fidati! È colpa tua quello che è successo, lo so!”
Quello si regge i pantaloni di feltro, sdruciti e tenuti insieme da pezzetti di fil di ferro, e prova a difendersi: “No, io… La Scimmia, cioè… il tuo schiavetto con la barba sporca, mi ha grugnito contro qualcosa, prima, quando l’hai mandato qui in superficie a cacciare i diavoli, e io allora gli ho detto di andare a cagare, ma facendolo sull’altopiano, dove è pieno di cespugli di rovi semoventi che attaccano pure i topi mutanti. Se l’è meritato, perché io stavo solo cercando in giro i resti di qualche stracchino ingiallito, non mangio da quattro giorni, mica stavo pensando a lui!”
Ma il Signore/Sacerdote, che non sarà un montato perché non ha il Rolex ma è un esaltato per il ruolo che s’è cucito addosso, insiste: “Devi andartene di qui. Va’ a farti fottere, nel senso che per come concepisco io i rapporti umani e subumani posso solo ordinarti di andarlo a prendere nel culo, ma solo se non ti piace. Se mi faranno avere un video della scena, lo userò per masturbarmici per un mese coi guanti isolanti da elettricista scemo!”
Quello, il cane sciolto, non è intimorito ma ha ben presente il fatto che il contesto è quello di una landa urbana in condizioni mefistoofeliche, in cui c’è una etnia di mostruosità a tre zampe, di colore, che si fanno chiamare i poliziotti perché hanno fatto razzia di armi nel Commissariato italoamericano di Portland e che sparano a vista centrando sempre le orbite oculari, quindi non c’è da offendersi troppo per gli insulti di uno che si sofferma sugli scarafaggi.
Però resta l’aporia sconcertante che… in generale coloro che in teoria potrebbero coordinarsi per dare una ripulita all’asfalto incancrenito da fantasmi e deformità dell’apocalisse da poco compiuta si sfanculano l’uno con l’altro. Peccato!
Dalle parti geograficamente abrase della città dove transitava di solito il cane sciolto, quest’ultimo fino a poco tempo prima – o tanto; ormai s’è persa la cognizione del Tempo e chi cerca di recuperarla se la fa sotto per lo sforzo – veniva considerato un bastione estremo di simpatia pulp surreale contro il verminaio delle Destre. E invece niente, è stato cacciato, ora, dal despota della cripta, che peraltro ha anche il torto di fare gli occhi da pazzo, ogni tanto. Peccato veniale, certo, ma completa l’affresco e rischia di attirargli contro la sfiga di qualche nemesi infetta di tipo oculistico, proprio la roba che i cosiddetti poliziotti “prendono di mira” in senso letterale!
Un qualche barlume di capacità telepatica porta poi il solitario cane bastonato a trovare, nelle seguenti dieci ore, una serie di indizi e reperti sui vassalli del Signore. In una zona brulla bruciata dalle radiazioni, ma ancora dentro alla città arata da mutanti lumache di pus, trova il bugigattolo in cui il Lupo teneva le sue fidanzate dopo averle rese calve come lui ed impacchettate in pagine unte di fumetti porno di fantascienza ballardiana. Due di loro, nude, dunque, ed etichettate in quel modo, intonano lentissime messe rock con cui implorano il loro Marilyn Manson di farsi curare dal Signore degli scarafaggi, o viceversa, se quei due ci riescono. Il cane sciolto non ha cuore per liberarle; gli fanno una pena di tipo diverso. Si allontana.
Quattro ore dopo, in una grossa buca che un demente stava per usare come latrina a cielo aperto, lui, dopo aver cacciato appena in tempo il derelitto, trova una serie di tabulati con fori predisposti per un raccoglitore ad anelliDI, e li trova, i tabulati, tutti imbrattati da scritte fittissime piene di cancellature sbagliate. Sull’intestazione c’è scritto a chiare lettere “Scimmia”. Nelle prime pagine, a mò di premessa c’è scritto che lui, il vassallo Scimmia, voleva accelerare la procedura per diventare intelligente, e quindi ogni settimana leggeva 31 volte l’abbecedario e 11 l’elenco del telefono di Omaha City, con lo scrupolo di verificare e assimilare le differenze di stile, lui che invece s’era arenato vent’anni fa alla prima media per insufficienza frontale. Stava cercando ora di recuperare affannosamente quegli studi che da giovane cosiderava “cacca” (parole sue). Ciò che però anche ora lo stava frenando era che il suo editor, un incrocio uomo-bisonte tutto nero e lentissimo, sapeva bene in realtà che Scimmia era un mezzo handicappato, quindi gli spostava di giorno in giorno i luoghi dove trovare le sue “dispense ciclostilate”, spacciandogli come libri dei colleghi i rotoli di carta igienica di diversi motel lungo la Route 43. Scimmia li andava a prendere uno per uno, copiava tutto e poi, tronfio, portava i suoi fetidi elaborati nella buca, dove li metteva in un disordine tale che secondo lui dimostrava che sapeva scrivere in stili diversissimi ma sempre commettendo gli stessi errori: virgole al posto delle maiuscole e strisciate di merda per indicare gli a capo (ha scoperto la coprofilia come elemento di stile).
“Ok, un dilettante allo sbaraglio”, pensa il cane sciolto, e si allontana trascinando un piede con la soletta della scarpa che s’è scollata nella parte posteriore.
Altre due ore dopo s’imbatte in un gruppo di anziani stesi esanimi al suolo in pose innaturali; in mezzo a loro ci sono altri due sgherri del Signore/Sacerdote degli scarafaggi. Questi due hanno dei berrettini da liceale in gita, rosa e celeste, con adesivi kitsch ispirati a Popeye, ma con gli spinaci che gli cadono giù dalla testa, e quindi non si capisce bene. Uno dei due, Flo-view, si giustifica, rivolto all’altro: “Per me è più facile copiare le frasi di questi vecchi qua… Che vuoi? Quello io non lo capisco, lo guardo ma non mi piace”. “Non capisci una sega”, lo rimprovera l’altro, che è quasi coetaneo eppure sembra sapere qualcosa di più del suo collega manierista banaluccio, e infatti aggiunge: “Questi sono moribondi e non ce la fanno a raccontare, perché c’hanno gli ictus dappertutto, mentre il cane sciolto mi sa che avremmo dovuto torchiarlo, perché c’ha percezioni tutte sue, potremmo usarlo come matrice per un numero da circo”. “Smettila-smettila-smettila! È un’idea tua, ma il capo invece ci ha detto di non immischiarci, perché ci avrebbe pensato lui a farlo sentire perseguitato da noi vermi, pure se non avessimo fatto niente”. “Ma non è vero che io non faccio niente”, ribattè Lovetroy, che aveva la maschera da Lince strabica. In quel momento un anziano stirò le zampe nel fango e un’altra lì accanto si portò le mani al collo raggrinzito per sforzarsi di parlare, ma un altro vecchio col capoccione, per evitare requiem sputazzati, da quella sua coetanea, le schiacciò in testa una papalina ricamata dicendo: “Zittahh, sono le ulthime oreee, non rovinare tuttho, con qwella testha cke bollehhh!” Lovetroy credette di aver capito tutto e disse: “È la paranoia. Poi verrà la gotta. In certi casi infine c’entra sicuramente il narcisismo del caso. Cioè: di questo caso”. Credeva di essere un sapiente ma era un idiota. La vecchia gli strillò: “S’barbato, tu!” Un incrocio tra “sgarbato” e “sbarbatello”.
I poliziotti black irruppero da dietro un comprensorio edilizio mangiato da cancri dell’abominio atomico e lanciarono bombe a mano trovate nel piccolo magazzino al piano inferiore dell’armeria semi-distrutta e abbandonata, esposta ai saccheggi.
Senza lamentarsene con l’autore, osserviamo dunque che si muore a gruppetti (in questo mio sequel o spin off de “Il Signore degli scarafaggi”) alla faccia del pensiero che nell’incipit avverte che a certe profondità “i concetti di vita e di morte acquistano un diverso significato”; questa profondità, “le luci e le ombre”, ma anche i “ceri” da sacrario e il “neon rosso”, a cui si può aggiungere il fare e disfare creativo sulle lettere, sul senso e quindi sulle carni, non sono in realtà l’unico dominio della sozzura incarognita. Mi piace quando Pedretta, pur continuando, a differenza di ciò che ho fatto io poco fa, a tenere occultate sottoterra le sinistre manovre col forcipe e le boccette di cui il Sacerdote va ogoglioso, intuisce che l’orribile e l’immondo hanno la loro “materia ingannevole” anche quando vengono sfacciatamente all’aperto come il linguaggio: al Signore degli scarafaggi non piace ascoltare un esemplare dei diavoli quando “emette suoni confusi con il suo idioma oscuro e fastidioso”. Sapesse quanto sta sulle palle a me questa roba! Ma lui insiste, e io pure allora lo sottolineo: “grugnisce e intona quei suoni scorticanti”… “modulazioni insopportabili di un alfabeto da apocalissi biologica”.. E intanto anche la Lupa, Constance, è lì, “silenziosa, ossuta ed eterea” e imbastisce il cuoio, “sarta di questa fogna ingoiata nella terra”: il “defilèe dell’Oltretomba” è un’”operazione da sonnambula”, mentre anche il generatore ronza e ruggisce. “Che stiano confabulando qualcosa?”, si chiede lo ieratico protagonista, ma io direi che tutti, dunque, confabulano, dai vassalli al generatore passando per la sarta, e il linguaggio è comunque qualcosa che viene allo scoperto; tutti sanno che se io faccio questo discorso scomodo è per colpa di qualche “lingua perversa di una creatura tarata”, di quelle che anziché fare ammenda ordina a un nano: “Quando ti capiterà a tiro lui, digli “porco”, perché non avrà voglia di rettificare, eheh!”
Nel racconto, il Sacerdote si chiede: “È un modo per comunicare?” Io risponderei: “No, è un modo per ferire, per tormentare!”, e il protagonista della storia cerca di indagare, di analizzare, ma è una figura ctonia anche lui, per cui la sua riflessione potrebbe condurlo fuori strada: “…questi esemplari non sembrano affetti da alcun tipo di virus o di malattia”. E io allora esclamo: “Ma sta’ dunque attento a non macchiarti del loro sangue, forse sono solo vittime anche loro del cataclisma epocale!..”
Ma lui insiste, con l’arroganza del Padrone: “Sono sani e forti. È la loro mente che è deviata, sono i loro corpi che…” Vuol vedere la stortura anche dove non c’è: la scorge nelle menti (detto da lui è paradossale!), poi torna sui corpi anche se ha detto poco prima che sono sani.
Mi facesse una telefonata, e gli fornirei io una lista di stronzi provocatori che avvitano con perfidia la loro lingua biforcuta spargendo allusioni mefitiche e avvelenando così perfino l’atmosfera, oltre allo spirito delle loro vittime! Come la tipa che stirando le labbra viola a tortiglione in un ghignetto sadico potrebbe, come dicevo prima, aver suggerito al nano: “Quando ti capiterà a tiro lui, digli “porco”..!” Ma prendiamola come se si trattasse (con riferimento al testo) della congrega dei tirapiedi: ovvero, quella bocca sacrilega ed empia, e tutte quelle come lei, non vanno lasciate spifferare nequizie, di nascosto com’è loro costume, ma “si deve dar loro qualcosa, dei risultati”, pensa il Sacerdote (riferendosi ai suoi compari). E allora sì, puniamole scrivendo; i risultati scriviamoglieli in faccia, ribaltiamo ciò che va ribaltato, ovvero le loro menzogne, esorcizziamo il disgusto!
Nel racconto di Pedretta assistiamo poi, però, a un’inversione tanto tetra quanto stupefacente: il Sacerdote, che non poteva “sopportare il suono osceno di quell’idioma infernale”, si sente rivolgere, dall’essere mezzo sbranato, delle domande molto chiare e dirette, e tuttavia per non perdere il punto anche di fronte al turpe abominio appena compiuto da lui e dalla sua ghenga si ripromette di tagliare la lingua ai prossimi esemplari, pur di non ascoltare la Verità.
A proposito di Verità, “nel mondo qualcosa è andato storto, si sa”, dice il narratore, e lo confermo anch’io riferendomi alla mia vita privata, che dopo anni dalle mie catastrofi ancora è piagata dalla viscida presenza di omuncoli che agitano a tradimento frange di miei dolorosi ricordi o addirittura fanno balenare rivelazioni merdose, subito dopo negandole per il gusto di confondere e intorbidire le acque, ma già dirlo come sto facendo vuol dirli bastonarli con la Verità e far loro capire che non mollo!
La vicenda narrata da Pedretta, peraltro, fa riflettere su come certe disgustose creature, che sembrano partorite dal buio da cui emergono, possano abituarsi ai subumani con cui nel sotterraneo convivono, in conformità con la teoria psicologica per cui la continua prossimità porta ad esempio una coppia di coniugi ad assomigliarsi sempre più. In questo caso la Scimmia, i due Lupi e i Cani insieme al loro capo in tunica non si son visti estorcere dagli insetti la capacità di usare il linguaggio, ma solo la fame.
Nel sequel che ho qui abbozzato, il Signore degli scarafaggi, ricoperto dall’orda antennuta di insetti, attirati dalla sua elettricità pessimista, arriverà al punto di sbraitare: ”Non sono io che ho voluto convincere i miei schiavi a rintanarsi sotto le croste terrigne per paura della luce di chi potrebbe negare la mia leadership… No, cane sciolto, sei tu che avresti dovuto stare qui sotto e invece per una tua idea drogata di indipendenza sei voluto restare in superficie, abbandonando noi, i tuoi fratelli, alla stupidità..!”
Ma poi viene sopraffatto dalle blatte, e – ormai è storia – si sedette a pensare mentre lo rodevano da cima a fondo, ma, per essere precisi, a cominciare dal fondo, perché esse sapevano che non gli piaceva, per cui lo brutalizzarono infilandoglisi in massa nello sfintere.
Fu allora una grassona, gonfia non di cibo – che scarseggia – ma di eczemi color sughero, a prendere la parola; aveva visto sbucare tra le canne al vento accanto al ponticello crollato un piccolo esercito muto di cinque poliziotti di colore armati di seghe elettriche e fiocine arrugginite che avanzavano allargandosi a ventaglio, e pensando che a volte la stampa pre-Apocalisse taceva su qualche crimine dei Blacks a causa del dogma politically correct che “solo il bianco è razzista”, ebbe il fegato di urlare loro “La fine accelera anche senza di voi: la terra sprofonda e io sento il cervello che mi si restringe per l’insonnia ostinata, quindi siamo tutti stanchi delle vostre prepotenze da pulizia etnica dei letterati bianchi controcorrente! Di Martin Luther King non v’è rimasto niente, siete solo isterici dinamitardi con la colite, e forse avete perfino simpatie per i Repubblicani!” Beh, certi neri a volte si accapigliano con gli asiatici, e allora son gran casini, nelle metropoli, ma a proposito dei Repubblicani non si può non osserrvare che l’esasperazione infatti, come ha strillato quella là, può produrre anche insensatezze sociopolitiche tra il ridicolo, l’escrementizio e la sbruffoneria, come in occasione del famigerato assalto a Capitol Hill del 6/1/2021, ma, nel futuro devastato che Pedretta ha rinserrato in qualche labirintico e sozzo sottosuolo, la sorte che può toccare a chi accusa altri di essere ammorbati e che per fame li vuole fottere nelle interiora è “un nuovo genere di morte”.
il7 – Marco Settembre
ven 31/3/2023 10:52, 14:57