– Il racconto in questione è inserito nell’antologia “Il Fiore della Quintessenza” (AliRibelli Editore, 2021) –
Irene Drago, nota anche come Oskar Felix Drago, non è affatto un’autrice dall’identità sfuggente, anzi, con “Convergenza” crea una sorta di piccolo tesseratto narrativo con mano sicura e ricadendo perfettamente, salvo che per alcuni intarsi sorprendenti, in un genere dalla tradizione potente e nobile (perennemente decadente ma non decaduta) come il cyberpunk. L’inizio della storia è tipicamente sordido: uno di quei locali dove i vari sopravviventi vanno a leccarsi le ferite immergendosi nello spettacolo da post-post-melting pot di un mondo variegato, sofferente e cinico, vede la presenza scoglionata di una eroina che subito ci mostra come non siano tutti/e degni di definirsi tali (tutta la mia solidarietà!): la sua amica si farebbe facilmente perdonare l’essere un po’ rozza, se non fosse che è anche falsa e parassita. Certo, tutti si infilano nelle convergenze con i Mu. R. F. e cercano di trarne vantaggio, ma ognuno avrebbe il dovere di procurarsi da sé le sequenze giuste. Chi ci riesce accede non come qui sulla Terra del 2022 ai paradisi fiscali ma in luoghi che saranno campi franchi lasciati volutamente nell’indefinito, un po’ come quando qui noi cerchiamo di fare i maitre à penser occidentali e diciamo “Fly West” o “Go West”, come i Frankie goes to Hollywood. Altro elemento FS che ben si sovrappone alla situazione è la facoltà telepatica, con cui i due personaggi femminili giocano di scherma, con la differenza che le sensazioni sono fisiche, bucano il velo della pagina e arrivano alla corporalità: “Ti sento dietro la lingua”, ottima suggestione davvero. Immancabile ma resa con originalità competitiva rispetto ai maestri del genere, la descrizione della città, vissuta attraverso i pensieri in soggettiva e il fastidio di evitare questi o quelli, gente a cui non dare troppa confidenza. Dinamiche che si ripetono, tra i gruppi e gli individui umani, anche in un contesto di “storpiatura gravitazionale” (sublime!): come dire, e Drago lo dice, metaletterariamente, che anche un inizio in medias res non spazza via milioni di anni di istinto mammifero. Ma in compenso, le “lunghe ore di lavoro a inseguire brandelli di storie” fanno rima coi tatuaggi. Ma iniziano gli intarsi: c’è il tema del ricordo, che incapsula quello dei documenti, declinato in modo romantico perché sono cartacei e includono lavori artigianali sui bordi e dettagli sulle edizioni di… un libro che è un omaggio a Lovecraft pur senza citarlo espressamente, come forse il genio di Providence avrebbe voluto (“…Necronomicon – mai avrei voluto mettere mano su quella roba”): c’è un’indagine da portare avanti, e lo step successivo è una traslazione ottenuta con le sonde cyberpunk che ci proietta in chiave steampunk (ma senza steam), nel solco de “La macchina della realtà” di Gibson e Sterling, con la stessa eleganza nella descrizione di ambienti e movimenti da salotto dei personaggi nella Londra del 1886. Il tutto non per il gusto di cambiare ambiente, ma per arrivare all’obiettivo – l’obiettivo di Artemis, la protagonista – attraverso il calarsi in Parker e conoscere la vedova di Cook nonché sorella di Griffith (non cognomi qualsiasi, direi: uno l’esploratore e scopritore dell’Australia, l’altro uno dei massimi registi cinematografici delle origini) e assistere alla seduta spiritica gestita dalla medium. L’autrice sa quando una citazione è abusata ma, come una medium, sa gestire lo spettacolo: l’importante è identificare il punto su cui si dirige la Convergenza, ovvero dove va indirizzata l’attenzione del lettore, che va distratto (e intrattenuto) con ogni mezzo intelligente. Compreso il dettaglio cinematografico: “”Ho sete”, balbettai. Versai il whisky sul pavimento. Un arco. Tornò indietro”. Per fine sessione/connessione. Buona anche la digressione psicologica sulle caratteristiche delle vittime dei ciarlatani, perché d’altronde una telepate che deve identificare chi ha davvero poteri ESP (Extra Sensorial Perceptions) in un’ambiente deve possedere anche acume psicologico, che emerge comunque anche nel resto della storia, come nel confronto con l’innocente amico, in comune con la falsa amica: sarà innocente ma non si sa se il destino ci farà reincontrare oltre. Si configura il profilo di una Artemis davvero disincantata ma anche onesta: non vuole avere informazioni che non le spettano. L’autrice la sa lunga e si concede anche una battuta metaletteraria: “Ho un centinaio di What if da controllare, al giorno”, e facendo così passare il principio del what if come un elemento da vidimare allude al fatto che la vita quotidiana terrestre per chi scrive Fantascienza si arricchisce di ulteriori grattacapi rispetto a chi deve accompagnare la figlioletta al doposcuola o far riparare il radiatore. Ma, come nel precedente racconto, quello di Vezza, il Sistema ci costringe a essere all’erta e a prendere sempre le giuste contromisure sia dinanzi a sovrapposizioni che a frattali, nel Multiverso. “Ma tu sei un’esperta. Non ti bastano due chiacchiere per scardinarti l’inconscio”. Bella battuta di dialogo, ed è bello sentirsi dire una cosa del genere, ma non si deve abbassare la guardia, perché di certo le qualità analogiche ci rendono superiori ai servo-meccanismi e ai terabyte, ma poi, proprio perché siamo analogici siamo esposti a situazioni abnormi tipo una seduta spiritica che va oltre i binari, che possono far perdere la testa anche a un tipo tosto. Non a caso, in queste fasi la situazione, perdurando l’assenza dello steam(punk) si fa nettamente weird, con tutto il bagaglio di mostruosità tipiche anche se bislacche che questo genere richiede.
E si prosegue con un altro framework/intermezzo narrativo/sessione di collegamento della protagonista, e questo passaggio non ha la contestualizzazione ottocentesca o il topos della medium a fare da fil rouge; no, la protagonista – ancora in un’identità maschile – si ritrova in un’altrove con punti di riferimento sospesi e ricorre a gesti e movimenti che paiono simbolici negli oggetti, nei tempi e nei pensieri: dietro quale apparenza si cela il pericolo? Nella piazzola, nella giostra dannata o presso l’Ultima Stazione? Io personalmente ho ricordato una mia avventurosa fuga da Parma nel 2003, ma non è detto che affidandosi a parvenze di normalità come l’acquisto di un biglietto ferroviario o l’elemosina generosa si possa sfuggire a “Mille morti, o forse solo una, lenta, eterna”. La qualità letteraria di questo racconto è fuori discussione, tanto quanto è vero che “Il dolore ha molti nomi”. Trovata la Convergenza, si torna alla realtà laboriosa delle operazioni cyberpunk e l’odore che si diffonde è quello del ginepro – un altro piccolo richiamo al racconto della Repetto presente nell’antologia (o forse ginepro era una parola chiave che diversi autori erano chiamati a inserire nelle storie?) – ma si continuano a temere possibili sgambetti della amica infida e a serbare il ricordo del fidanzato rimasto bruciato nella sua postazione, grazie alle sue spoglie mortali. Teso anche l’incontro con l’onesto compagno della solita amica parassita; già è difficile essere gentili col prossimo, ma quando poi… E nella tipica alternanza cyberpunk tra immersione negli spazi virtuali e quelli della cosiddetta realtà comune si avanza verso il probabile punto di collasso. I due ambienti weird erano già in parte sovrapposti, ma si sperimenta sempre più un senso di incurvamento molle e spaventoso della materia spazio-temporale che ricorda l’”Ubik” di Philip K. Dick. In questa sorta di imbuto che convergerà verso il finale – che non riveleremo – il supposto antagonista si rivela, e con costui si ripercorrono i luoghi precedentemente visitati, ma con la coscienza che davvero l’Ultima Stazione deve far assestare almeno l’universo che più ci interessa, perché “tutti abbiamo un passato di merda”, e la notazione anticonsolatoria sembra nettamente preludere a un finale senza scampo, eppure il confronto, forse perché si tratta di due donne, porta con sé, tra le allucinazioni, anche uno sfibrato senso di pietas. È questo che alla conclusione della lettura mi ha fatto un po’ commuovere.
il7 – Marco Settembre