Recensione del racconto “Per piccina che tu sia” di Alessandro Forlani

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  • Questa è la sesta parte della maxi-recensione che ho scritto per l’antologia di fantascienza italiana “Il Fiore della Quintessenza” –

In “Per piccina che tu sia” Alessandro Forlani, utilizzando a scopi un po’ sarcastici l’incipit di un noto adagio popolare (“…tu mi sembri una badìa…”) mirato a farci sentire cullati nell’atavico concetto di casa per quanto essa possa essere luogo e concetto limitato e per alcuni limitante, e proseguendo nell’opera con un linguaggio informale usato a scopo esorcizzante dalla giovane protagonista nei confronti sia della vita quotidiana a due sia nei confronti degli Imprevisti, ci introduce in uno stordente effetto domino casalingo che trasforma, per dirla col Poliziano, le stanze di casa in una giostra di passaggi in universi paralleli che scombussolano tutto, dalla vita privata fino al contesto esterno, che addirittura mostra una nuova guerra mondiale in corso tra russi e cinesi sul suolo italiano, mentre magari gli ucraini stanno a casa a gustarsi lo spettacolo in mondovisione pensando non ad aiutarci mandandoci armi ma spedendoci Shevchenko di nuovo in veste di bomber. Mi si perdoni la divagazione, ma troverei più facile contrappormi aale distopie concatenate e ai deliri isterici personali di tutto questo periodo se fossi rimasto anch’io quel superbomber dribblomane che ero fino ai 36 anni e anche verso i 40 e dintorni; adesso invece devo lottare scrivendo da rifugiato nella mia casa-badìa, il che non è male ma molto diverso. Nel racconto di Forlani, secondo me, uno degli indiscutibili assi della letteratura fantascientifica – con un taglio orgogliosamente laterale – dei nostri giorni, la scaturigine di tutto il gioco di salti e rimbalzi è uno, e si tratta del sottotema, che costituisce per molti un tormentone paranoico (ne sa qualcosa anche un mio amico gallerista d’arte di Roma con impostazione alla Burroughs; capisco, ma in questo lo seguo con distacco): il 5G, qui nella fiction 7G, tecnologia strazio-psico-satellitare destinata a entrarci nel cervello (esponendolo, chissà, forse a qualche onda sinusoide anomala di bosoni di Higgs ubriachi) stravolgendo forse non solo il nostro rapporto neurologico con il pervasivo smartphone ma anche la disposizione energetico-materica di porzioni di realtà, specie se uno si ritrova ad abitare a poca distanza da quelle dannate antenne e dai loro ronzii che equivalgono a elucubrazioni tecnologiche maligne pensate e volute da qualche multinazionale sostenuta magari da George Soros o dagli oligarchi russi, cosa che naturalmente i media e i politici “non celo dicono”.

Antenna 7G irradiante magneto-malefìci a tutta manetta

E dunque immaginiamoci una giovane coi piedi per terra – che ha una felice vita di coppia e che parla come le viene malgrado intorno a lei, a livello di amicizie, ci siano solo persone intelligenti e laureate e con un buon lavoro, senza che questa vada interpretata necessariamente come una traccia di classismo – che si ritrovi dentro altre lei, che pure però sono lei, e continuano a raccontare senza interrompere il flusso, passando in stanze diversamente customizzate ma che comunque sono le sue. Può dunque questa lei originaria accettare le varie sliding doors (ricordiamo tutti il film del 1998 di Peter Howitt) con l’ex scialbo abbinatole a sorpresa, con i figli mai voluti, con la distopia bellica, e con quella ambientale con la casa divenuta galleggiante, in un futuro che peraltro tutti iniziamo a temere e prefigurare con occhio allucinato? Ecco, se è galleggiante, la casa, lei è sballottolata nella corrente dei vari contesti identitari – perché ogni sé non resta solo più o meno controllabile nella nostra testa ma si tira dietro tutto un armamentario di conseguenze che un fantascientista dallo spirito anche scanzonato come Forlani riesce a illustrare anche con pochi e rapidi tocchi nella stanza compatta di questo suo racconto – e lei dunque pensa di essere matta (una definizione classificatoria come un’altra 🙂 ma anch’essa in realtà portatrice di correlati che in questa storia invece non vengono sviluppati, per restare nel ventaglio salutare delle reazioni pratiche) ma si adatta ogni volta, e il racconto quindi è movimentato e familiare al contempo, finché si giunge al parossismo di questo accumulo di variazioni – straziante per me quello della madre anziana e allettata in condizioni pietose… a Roma diciamo che anche solo nel ricordo “…non ce se po’ pensa’!..”, e fornita anche lei di paranoie specifiche, ma vintage, su sostanze poco igieniche da tenere lontane, in modo tale da riproporre il tema di base fornendone un’interpretazione definitiva: gli spunti problematici possono essere concreti ma limitati, i timori sono una realtà psicologica da affrontare consapevolmente, le fobie irrazionali sono un po’ ridicole e vanno stoppate prima che diventino tracimanti e incontrollate. Forse, riflettendo sulle stanze comunicanti in cui cambia d’identità la protagonista, si può ipotizzare che esista anche una fobia delle sliding doors, e anche in questo caso lo stimolo preoccupante esiste e non è infondato: a 25 anni facciamo in tempo a scegliere strade diverse e a inebriarci della scelta, mentre con l’avanzare dell’età, se si è sfortunati, qualche scelta sbagliata può indirizzarci verso la prospettiva a imbuto, in cui la scelta è ridottissima o inesistente. Per non farsi prendere da ansie eccessive si deve allora essere saggi in tempo utile, pensare magari alle implicazioni fantascientifiche dell’effetto farfalla, studiare la teoria del caos, e ricordarsi che di base gli orientamenti sono tre: o è tutto casuale, o è tutto sovradeterminato dal Destino, oppure la vita è una combinazione mista in cui alcune scelte sono nostre e libere, altre no, perché le prime aprono a futuri condizionali; ad esempio: se prendo una metropolitana, tra una fermata e l’altra non posso scendere e quindi sono obbligato a viaggiare in quella direzione; scegliamo bene la Facoltà universitaria e il partner!

Casualità? Destino? Scelta o lancio dei dadi?

E io ora torno alla direzione/modalità “recensione” e vi anticipo, a rischio di qualche spoiler, che il parossismo di cui parlavo, nel racconto di Forlani, è collocato esattamente nella data del 20/10/2022, e si spegne quando la protagonista si ritrova come d’incanto, così come ci si era ritrovata, a uscire da quella sequenza, accusando solo un’epistassi dal naso e limitati pensieri fugaci sul passato anziché allucinanti materializzazioni. Peccato però che l’antenna sia ancora lì e che peraltro la “normalità” filosoficamente non esiste, perché il finale scocca un altro messaggio: quello sulla fluidità dei ruoli e delle relazioni sessuali. Io posso dire che non mi riguarda, ma col politically correct galoppante e ossessivo forse neanche ci posso scherzare sopra, e quindi confermiamo che magari lei, Nicoletta, e il suo Lollo – cioè ora Loredana – erano bellissime, dolcissime, eccetera, anche a prescindere da… un’antenna-fallica, quella del 7G, di cui il nesso col famigerato punto G non viene esplorato, saggiamente. Il fnale del tourbillon pertanto resta aperto: potrebbe trattarsi di un loop di identità che si susseguono in una sequenza ciclica in cui nel ritorno del rimosso (Freud) e nei corsi e ricorsi storici (Giovanbattista Vico) si riaffacci anche la banalità più rassicurante, prima o poi, espediente autoriale per lasciare a tutti gli amanti del mainstream la speranza che Nicoletta prima o poi torni “normale” (non sia mai: che caz.. significa?? Piantatela! 🙂 ) oppure si tratta dell’auspicato assestamento finale – nella giostra – di un nucleo familiare in un mondo Altro che richiede diverse capacità di resilienza, una socialità più inclusiva, un amore che nasce da una più profonda somiglianza e comprensione col partner e magari in generale col nostro prossimo – che infatti un tempo veniva indicato come i nostri simili. Il problema è che comunque, se così fosse nella storia, sarebbe stata una deviazione artificiale dal corso naturale – il 7G, ovvero, ampliando il discorso, l’abuso di tecnologia o il consiumo scriteriato di energie fossili (e sigarette) – a determinare questa mutazione. In questo senso, il tema e il finale della storia inducono a fantasticare su sviluppi in chiave steampunk. Comunque sia, Alessandro Forlani si conferma autore di razza che sa sia affondare, in diverse sue prove, nei registri fantasy di un grottesco ucronico, sia in narrazioni molto contemporanee che rispetto alla Fantascienza sono deliziosamente borderline e stimolanti, come la sua antologia personale che programmaticamente si intitola “Non più fantascienza” ma che nondimeno ci sa stravolgere un po’ come questo “Per piccina che tu sia”, ovvero manipolando con sapienza la polpa della complessità odierna per mostrarne lo sbriciolamento interno e la vertigine.

il7 – Marco Settembre

A proposito di Terza Guerra Mondiale Scema tra russi e cinesi, ecco una vignetta di Edmund Valtman: “Chinese Dragon Breathing Fire on Soviet Bear” (Il drago cinese sbuffa fuoco sull’orso sovietico), 24/8/1978.

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