- Questa è la quarta parte della maxi-recensione che ho scritto per l’antologia di fantascienza italiana “Il Fiore della Quintessenza” –
“Io sono Andrea Viscusi e adesso vi spiego tutto per filo e per segno!” E forse una volta per tutte; analizzando tutto l’analizzabile per il gusto di farlo, per il progresso della conoscenza letteraria e possibilmente senza sbilanciarsi troppo perché in giro c’è di tutto ed è difficile stare appresso agli ispidi grizzly e all’estravaganca, alle sbullonate sexy e ai fantocci di pannolenche. Se glielo raccontano, però, lui ci riflette sopra e trova magari uno schema pure lì, probabilissimo! 🙂 Non è proprio così che si presenta on line in video il giovane ma affermato autore nonché titolare del canale YouTube “Story Doctor”, ma poco ci manca. Dopo aver usato la spada e il fioretto per distinguere elementi narratologici e sgomberare il campo dagli errori dei principianti, è capace sempre e comunque di interrompere la sua pratica normativa da simpatico guru e creare, una volta ancora, una storia che affronti qualche topos o elemento ricorrente del nostro genere dandogli una veste originale con mano sicura. Stavolta lo fa anche con leggerezza, facendoci respirare nel racconto l’aria contemporanea, “fresca”, come si suol dire, e disinvolta, con congrue dosi di autofiction, supponiamo, degli spostamenti universitari internazionali nell’ambito del programma Erasmus, che qui però hanno implicazioni quantistiche e turbocosmonautiche degne degli ormai altrettanto noti wormhole, e Viscusi salda i due elementi con una crasi su cui, di questi tempi, anche l’Accademia della Crusca non troverebbe nulla da eccepire, inserendo il neologismo nell’enciclopedia e poi tornando collettivamente… a occuparsi degli altri cereali della colazione. Questa la premessa di base (che non è banale come un compitino di filosofia spicciola sbrigato in fretta da chi deve poi spicciare casa; ma si sa che ci sono anche studenti, magari non dell’Erasmus, no, che studiano sui Bignami 😀 ): incrociare lo slittamento interdimensionale – che era il tema imprescindibile della raccolta antologica curata da Sergio Mastrillo – con la vague personalistica da studente che disinvoltamente pratica il vitalismo esibendo la barbetta d’ordinanza. E così si entra nel “Worasmus” con una solenne sbevazzata tra amici in un locale, la sera. Con una scena corale, dunque, che tradizionalmente dal punto di vista narratologico, forse, costituisce il prologo all’impresa. E allora le regole del gioco narrativo sono in realtà chiare sin dall’inizio: tutti i presenti hanno il loro doppel, lì presente. Presagiamo, a quel punto, per qualche personaggio poco avvezzo, ahilui, disastri e convulsioni psichiche tali da richiedere almeno il Voltaren per sciogliere i nervi del polpaccio, o un integratore come le palmine di pastasfoglia per aumentare l’acutezza dei neuroni da sempliciotto, e invece sembrano tutti abbastanza a loro agio: bisogna saper stare in società e il litigio occasionale ci può stare, purché ci si chiarisca e chi ha torto lo sappia (magari!). Come, nel racconto, l’amico nel pub che dice al suo doppio, in pratica: “Pensi di essere migliore di me solo perché non bevi la sera se devi guidare? Ma io ho la ragazza e tu no!” Purtroppo capita anche questo, ma almeno è uno spunto narrativo utile a introdurci nel solito tema cyberpunk della copia/replicante che ha più anima dell’umano. Io francamente mi sento umano fin troppo, cocchi (e cocche) miei, ma talvolta ho il dubbio che ogni squadra o comitiva richieda un grado di conformismo, perché lo spogliatoio a volte diventa un vespaio di chiacchiere, come nelle piaghe meno nobili dei retroscena della rappresentazione sociale di cui parla Erving Goffman, e non è carino che si formino i clan o “le cricche”, come avverte qualcuno in discorsi da procurato allarme; chiusa parentesi. Peraltro, è nozione arcinota che l’oggettività assoluta, metafisica, sia impossibile da attingere (provate a mandare quasi a memoria tutto “Logica dell’indagine scientifico-sociale” di Statera che dedica un capitolo intero a questo concetto e poi ne riparliamo), e che la realtà è sociologicamente una costruzione sociale (Berger e Luckmann) e una convenzione dal punto di vista fisico e percettivo, e infine che la vita è una tessitura di punti di vista e interpretazioni, tuttavia nella Giustizia (pratica) infine si arriva sempre a decretare chi ha torto e chi ragione (a parte i casi incresciosi di errori giudiziari) e i processi si svolgono in presenza e non ad opera di una maggioranza nascosta e coalizzata, che opera in qualche dimensione parallela. Nel pub di “Worasmus” giudicano i lettori sul fatto che si sorvoli su un’uscita infelice per non turbare la serata, ma comunque il senso – di questi tempi si direbbe “aggressore e aggredito” – è chiaro.

Naturalmente Viscusi ha distribuito senza darlo troppo a vedere nel testo le norme di quel mondo, ovvero il vettore fantatecnologico usato nel passaggio tra le due sponde, il come si muore, il senso dei nomi dei due universi e quello dei pre-nomi, che vanno usati quasi obbligatoriamente, come i più grammaticali e noti pronomi, e questa è una sottile trovata che dimostra ancora una volta il legame stretto dell’autore con la lingua, da meta-editor quale si definisce giustamente.. Ma come in ogni storia young adult, ciò che costituisce il gancio per il lettore – una volta sgomberato esplicitamente il campo da possibili imbarazzanti ricalchi di antecedenti classici (a partire dall'”Anfitrione” di Plauto, in cui per la prima volta compare il termine “sosia”) e morbosi sui doppelganger e sugli specchi, dai Jeckill & Hyde di Stevenson al “William Wilson” di Poe, portato sullo schermo da Louis Malle nell’episodio omonimo del suo “Tre passi nel delirio” (e io ne vedo un po’ che delirano e spero che non sia colpa mia che invece mi sento vittima con 7 alibi), passando per il “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler, in cui non ci sono proprio dei doppi (…) ma degli smarrimenti paralleli che Stanley Kubrick ha reso con incomparabile maestria nel conturbante “Eyes wide shut” (sospiro…), a “Persona” di Bergman, volendo, e sicuramente citando il celeberrimo Dorian Gray di Wilde che ci perturba affiancando l’estetismo al Male – è la liaison amorosa con la altrettanto doppia Olivia, con tanto di spargimento di accenti soft core, che si manifestano anche nell’espediente di favorire una lieve ubriachezza della signorina dall’aroma di panna. L’immedesimazione del lettore maschio è prevedibilmente nel protagonista, che, in trasferta nell’universo B, si mostra ben più attivo dell’altro verso di lei, anche se ad essere attenti si nota pure la sicurezza del doppio, che resta sullo sfondo eppure non sbaglia nulla. Dunque la peculiarità dell’interpretazione di Viscusi è nella non-conferma del comportamento paradigmatico del doppio, che perseguita e ostacola, soprattutto in amore, simboleggiando un narcisismo che vuole impedire la realizzazione di altri desideri dell’io, perché in questo racconto la perniciosità del rapporto sembra poter derivare soprattutto dalle azioni intraprendenti del protagonista Gerry, mentre l’altro sembra opporsi solo con una presenza “sorda” che si può tentare di ignorare bellamente.
Se resta valida, poi, la metafora speculativa – l’autore è il fondatore del brand letterario Specularia, che di certo non specula sull’aria 😀 – sul “mettersi nei panni dell’altro” come obbedienza a una delle regole di quei due universi paralleli, risulta allora sospetto come il protagonista, come risulta in un passaggio, non ami il cinema (cosa???): l’autore quindi, dopo aver mostrato alcune dinamiche dello “scambio” (culturale nell’Erasmus ed emotiva nell’esplorazione personale di diversità e somiglianze), inizia così – facendoci disapprovare il disinteresse strano verso il cinema – a preparare il distacco del lettore da Gerry? Probabile. Quando si arriva ai contrasti tra i due rivali, che non assurgono però all’inquietante, lo sfiorano appena (e d’altronde, nei precedenti storici del genere l’uccisione di uno dei due porta alla morte di entrambi, mentre Viscusi cerca di trasmettere un messaggio diverso), il confronto c’è, e inibisce Gerry in un senso fin troppo intimo e destabilizzante tra maschi, quindi il climax della drammaticità è questo, ma poi è invece proprio l’equilibrio in cui lui, Gerry, non credeva a imporsi come sigillo finale. L’unica fuoriuscita saggia ed elegante e costruttiva è dimostrare di sapersi applicare nello stesso modo messo in pratica in trasferta anche nel PROPRIO universo, dove c’è la propria Olivia che da tempo probabilmente attendeva un risveglio del suo lui. Perché Gerry non aveva detto direttamente a lei e non alla sosia che lui è “pronto a tutto”? E son d’accordo infatti che “vedere come le cose potevano essere” a volte non porta a solidi risultati. Bah, “So’ ragazzi!”, direbbe un boomer; io no, c’ho ancora 36 anni 🙂 e non schiodo da lì (no, scherzo, sono della Generazione X). Non è un mio doppio, questo che ora digita l’articolo, io son sempre io, quando scrivo recensioni e quando creo fiction; piuttosto, posso avere dubbi su chi siano altri, come Olderico Sisenna o Polda Sbaruffi, ma in fondo chi se ne frega. 😀 Il racconto invece è solido, sì, e su Viscusi i lettori non si esprimerebbero certo con un “Non l’ho inquadrato bene”, perché lui è un mix tra bravo (molto) e furbetto; speriamo che non sia permaloso e che apprezzi con un sorriso questa mia analisi punteggiata da note poco ortodosse che però fanno colore. 🙂
il7 – Marco Settembre