Recensione introduttiva dell’antologia “Il Fiore della Quintessenza” a cura di Sergio Mastrillo

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Copertina dell’antologia

di il7 – Marco Settembre

Al di là del lignaggio superiore degli autori coinvolti dal brillante curatore Sergio Mastrillo in questa sua impresa, peraltro incorniciata e rifinita con un audace tratto (semi-astratto) cosmo-geometrico-quantistico, è l’effettiva qualità dei racconti in cui gli scrittori si sono di fatto prodotti a far la differenza. Nell’alternanza inebriante di stili e sottogeneri, dal primo testo di shockante severità horror del veterano, e qui “classicheggiante” alla Poe, Donato Altomare, alle ilari avventure dell’antieroe per caso escogitato da Salvatore Vita, passando per le mature elaborazioni di Repetto, Del Popolo Riolo, e anche, secondo me, della crossover Drago, è impossibile non notare la qualità letteraria indiscutibile, insieme alla cogenza dei messaggi. E c’è anche, in sottotraccia, tra i vari short-tales (ma tutti di una lunghezza che consente agli autori il dispiegarsi delle proprie doti), una rete di piccole e segrete corrispondenze baudelairiane, dei sottili rimandi: a Parigi (in Repetto e Riolo), al doppio (Viscusi, Forlani, Gastaldi), al ginepro (in Repetto e Drago), agli affetti – vero tema emergente, motore sotterraneo, con un’attenzione particolare ai bambini quasi a voler omaggiare Bradbury, volendo (Altomare, Repetto col suo “Vai, topolino”, Riolo con il simile ma non troppo “Vài!”, e Marinelli, e anche De Santi e Petrarca), le peregrinazioni un po’ picaresche e involontarie con riscatto finale (Davia, Vita), il wormhole (Viscusi, Gastaldi). E naturalmente è presente la scienza e la tecnologia ma senza specialistici approfondimenti o infodump in chiave hard-SF: sono presenti ma non pervasivi (come gli accenni di astrofisica e di quantum computing nel racconto di Barbacetto, o come la “matematica ineccepibile ma senza ricadute nella realtà”, di Gastaldi), sempre funzionali, in modo da connotare i racconti come fantascientifici ma senza schiacciare le altre dimensioni, così intrise di umanità: la natura e le virtù di uno spirito libero (Repetto), la comunità e alcuni di noi alieni discriminati (Riolo), l’oltrevita e il trovarsi finalmente dalla parte giusta (Vezza), lo stilisticamente denso e cinico/dolente cyberpunk inclinante verso l’elegante steampunk d’epoca senza steam ma con tanto di ESP (Drago), la satira anti-consumistica e l’alienazione ballardiana (De Santi), la freschezza anche sexy del contemporaneo e la rivisitazione del tema del doppio (Viscusi), la dimensione quotidiana e le diffuse paranoie su certa tecnologia (Forlani), l’intreccio sentimental-emotivo a quattro con effettistica metadimensionale scaturita da un poster psichedelico cromo-complementare (Petrarca), il romance forse d’altri tempi incorniciato in modo mitico-neofantasy (Blanc – ingenua ma piacevole), il perturbante annodarsi del delicato tema della maternità bifronte, dello switch passato-futuro e della follia in incubazione (Marinelli), la sfera perigliosa della follia e il suo rapporto – suggerito con una certa cautela – con il linguaggio (Morellini), un garbato e assolutamente non classista professionismo newyorkese e lo spunto ai confini della realtà (Barbacetto), per finire con le elucubrazioni spiazzanti ispirate a “Flatlandia” di Abbott e spinte in un giallo interdimensionale post-chandleriano tra il Dirk Gently di Douglas Adams e il Sam Space di William F. Nolan, il tutto accompagnato da abbondante arguzia da mestierante dell’espertissimo sceneggiatore Ernesto Gastaldi. E concludo allora raccogliendo anche dei riferimenti cinematografici sparsi: la saga spielberghiana di Indiana Jones in Vita, le Sliding Doors in Forlani, i Phenomena di Dario Argento che riecheggiano vagamente nelle piante della Repetto, la versione interstellare delle pirotecniche avventure di un ciclo come quello dei Pirati dei Caraibi (Davia), i mega-robots comandati dall’interno, vagamente Transformers (Vezza), le suggestioni malsane alla Shutter Island (Morellini). Chiusura riservata all’omaggio ai Pink Floyd della fase Gilmour contenuto nel titolo “Learning to fly” di Vezza, simbolo di un ampio respiro che dal microcosmi esistenziali si solleva verso le risonanze dell’oltre, in quell’ottica connettivista su cui dal 2004 si spende il postumano Sandro Battisti, sciamano letterario alla ricerca di altre vie rispetto a quella ordinaria, in effetti spesso carente (che però richiede un maggiore impegno proprio per questo, se non è utopia), e autore della suggellante postfazione.

“Il Fiore della Quintessenza” fin dal titolo sembra proprio infatti porsi come ineffabile simbolo di una complessità dotata di una grazia enigmatica, tanto quanto la quintessenza si suppone non sia facile da attingere per noi mortali. Ma è altrettanto vero che non stiamo parlando di una delicata incisione liberty, e che anche noi mortali, appunto, non possiamo non ammettere, anche se evitiamo l’argomento, che in giro troviamo dappetrutto trappolette assurde e avventurose che ci danno inaspettatamente l’accesso ad altri universi in cui all’improvviso possiamo spesso ritrovarci scomodi, come quando l’ubriacone ci tampona sulla rampa autostradale o come quando il vicedirettore di banca mette scuse per non versarci la mensilità dello stipendio. Ahah! Ma il curatore di questo volume ha voluto in sede introduttiva illustrare la tradizione del concetto di multiverso nella letteratura tout court oltre che in quella di genere, e quindi ci ha illustrato come la SF e i suoi sottogeneri siano davvero l’arte delle meraviglie del possibile e dell’apparentemente impossibile (tanto per riecheggiare il titolo di un’altra storica antologia, quella di Sergio Solmi e Carlo Fruttero). E malgrado lui abbia lo spirito dell’avventuriero tenebroso e di poche parole si è invece ammirevolmente speso per delineare un modello teorico, geometrico-matematico, di questo fantomatico Fiore, sfiorando non certo la pedanteria ma l’accessibilità, definendo tutti gli intrecci possibili in una lingua spavaldamente astratta che va a darci la dimensione di quella che potrebbe essere il linguaggio di prosa poetica del Sedicesimo Millennio – sedici quanti sono i petali del Fiore – che si basa su circonvoluzioni perfettamente corrispettive dei labirinti di specchi quantistici e forse perfino editoriali e relazionali che fanno pensare a un Beckett che si fa un giro su Saturno. Tant’è che nell’incipit da lui, Mastrillo, steso, il fin troppo classico scienziato fuori dalle righe non riesce a riemergere dalle sue intuizioni e impazzisce sul serio – poraccio! – al di là di quello che potevano aver pensato di lui le malelingue dei colleghi, che poi saranno stati contenti, quindi, in barba all’eventuale desiderio del lettore medio di un happy ending almeno nella sezione introduttiva di questo pregevole volume. Direi invece che l’ambizione, se fondata e se non calpesta nessuno, vada premiata come sarà premiata questa ottima antologia.

L’epigrafe del libro, intestata all’illuminista Voltaire, sembra spingere il concept verso la distopia e verso un tono lamentoso che anch’io faccio mio quando mi esaspero e non posso mordere i polpacci di qualcuno, ahah: “Se questo è il migliore dei. mondi possibili, allora dove sono gli altri?” Sottinteso: ditemelo e ci vado a passare le vacanze, magari prendendo un tram interstellare o leggendo un libro come questo, appunto. Il curatore, allora, nell’introduzione prova a illuminarci meglio di Voltaire (ma sì, bando alla modestia, almeno restando al nostro campo d’indagine! 😀 ) ricostruendo la storia del concetto di multiverso, nato in ambito SF ad opera di Murray Leinster che raccoglieva il conio di William James; ma Mastrillo ci informa che le ascendenze sono molteplici, perché l’Uomo, tra scienza e fantascienza e tra filosofia e matematica, ha sempre cercato di costruirsi un destino diverso da quello che impone di cacciare orsi o coltivare carote. Il “problema” della scienza è che per essere tale deve sostenere ogni teoria con i dati, ma il richiamo della pluralità dei mondi è irresistibile ed è corroborato da qualunque sguardo verso la volta stellata e da qualunque ragionamento che inizi con un “e se..?” Mastrillo cita una quantità di mostri sacri, da Dick a Lovecraft, da Wells a Sheckley a Lem, senza trascurare, nel filone dei viaggi nel tempo, anche gli autori che alla SF non appartengono, e si affaccia nella pagina anche un maestro del surrealismo italico come Landolfi, ma poi anche Asimov, la Le Guin, i fratelli Strugackij, e anche King e Barker nell’horror, e tutto questo spiegamento di forze è ampiamente giustificato dalla necessità di allargare il solco cosmico per accogliere un’antologia come questa, che si pone come un’astronave dalla struttura molto articolata, magari asimmetrica, comunque sorprendente, lanciata nella galassia del mercato all’esplorazione delle possibili varianti proprio del multiverso e degli orizzonti paralleli, svariando dall’eugenetica alla bizarro fiction, dalla speculazione tendente al metafisico quantistico, fino al paradosso dolente, intimista e introspettivo. Inevitabile ribadire che questo svariare stordente è reso possibile dalla convocazione, nella squadra degli autori, di firme decisamente molto note nel panorama nostrano dei cosiddetti “fantascientisti” (termine che a qualche purista della lingua un po’ barbogio non piace), i cui codici mentali e stilistici si differenziano in effetti quanto basta per nutrire di talento e qualità questo blitz letterario collettivo nell’insolito e nello sconosciuto (ma non dimentichiamo che la SF parla in fondo di noi e anche del nostro presente) dove vigono altre regole che possono essere quelle delle astruse “stringhe” dell’astrofisica, ma più in generale del sense of wonder e dell’estraniamento. Per cui non serve sniffare cannella o prendere la melatonina: fatevi questo viaggio tra le pagine e le vostre visioni del senso presente e futuro prenderanno forme migliori!

Il prologo intitolato “Metafisica di Parilliòn” sembra imboccare, a giudicare dal nome, una variazione fantasy (genere molto caro a Mastrillo) basata sul “Silmarillion” di Tolkien o sugli (solo in piccola parte!) derivativi Marillion di Fish, nel progressive rock che adoro, e invece si tratta, pare, di un vertiginoso Fiore il cui implicito e morfologicamente conforme universo si affaccerebbe addirittura sull’abisso della pazzia, che certo non è particolarmente attraente, ahah!, ma che rappresenta pur sempre una dimensione dell’assurdo su cui gettare un occhio per avere un po’ di thrill, perché, senza scomodare troppo il saggio di Freud su “Il perturbante”, una quota anche robusta di disorientamento ogni tanto ci ricorda l’importanza della bussola. E comunque si deduce che questo è solo uno dei temi lanciati dal curatore all’interno di quella corolla che frastorna, con ben sedici insiemi di universi paralleli in cui perdersi e ritrovarsi al tempo stesso. Ogni elemento naturalistico del Fiore è connesso a un altro, e intanto viene evocata l’energia oscura, e dopo altre tre righe nel tourbillon compaiono le “intersezioni”; ma stiamo freschi: l’universo non è che sia facilmente misurabile anche facendo ricorso a proiezioni e modelli teorici, per cui, nel momento in cui veniamo informati che la corolla del Parilliòn contiene sedici universi paralleli al quadrato, abbiamo la certezza che pure l’altezzosa vedova del patrocinante in cassazione del secondo piano getta la spugna e si barrica in casa a leggere il periodico del Rotary Club. Invece, incurante di ogni possibile cefalea, Anthony Bodegard (chi era costui? Eppure sicuramente lui direbbe che ci conosce tutti, uno per uno) ci rende noto con disarmante sicurezza che il Fiore non solo ha una corolla già così vertiginosamente complessa, ma che ne ha sedici, di corolle così, e altrettante sezioni! Sarà forse per questo che la Sociologia, direi, che abbraccia e si collega o comprende l’Antropologia, la Psicologia Sociale, la Comunicazione, la (sua) Metodologia (scientifica) e lo studio delle Organizzazioni e del Lavoro ma anche dei Mass Media, e dell’Arte e della Letteratura come prodotti della creatività umana condizionati storicamente e socioculturalmente, ha abbandonato da tempo ogni Metafisica già verso la fine dell’Ottocento, e senza rimpianti. Che poi più tra la Fantascienza Hard che nella Soft (ma non è detto) ci possano essere suggestioni legate a correnti energetiche di cui si suppone l’esistenza in chiave astrofisica, e flussi cognitivi e combinazioni frattali di particelle geniche, è plausibile, dato che le nubi di polline a Maggio e le bad vibrations di vari haters o invidiosi o del pessimismo più intransigente, ma anche le onde sonore iperstimolanti della musica più avanzata non possono essere dei casi isolati. Però tra gli otteratti e gli ipercubi e le superfrequenze e i varchi di cui si parla in queste due pagine ecco che davvero il lettore può provare il brivido di scivolare in una altrettanto metafisica follia del pallottoliere, ahah!, oppure nell’accanimento statistico della ricevitoria del lotto con tanto di corollari sulle sinusoidi psicologiche degli scommettitori compulsivi. 🙂

Sto scherzando, ovviamente; il lettore si cala nel gioco arrendendosi al vortice del Maelstrom cosmico, e Il Fiore della Quintessenza può continuare a sbocciare, a volversi e rivolversi “come je pare”, e noi potremo continuare a perseguire la nostra salvezza nel labririnto universale e il nostro piacere della lettura passando all’ulteriore preambolo, che però è in chiave narrativa: in questo “Incipit” scopriamo che Parilliòn è un dottore di ricerca di nome Raul il quale, dopo i catastrofici tentativi iniziali, ormai storici, di istituire un teletrasporto, con numerose cavie sacrificate negli esperimenti, si avvede che ogni viaggitatore, a causa di una perturbazione nella membrana medianica, subiva una trasformazione in altro. Si fa cenno poi anche ad altre sue trovate geniali, ma diventa chiaro, riflettendoci, che questa è un’allegoria autoallusiva del Mastrillo alla sua impagabile missione di connettere tra loro le sedici misteriose “entità” – gli autori coinvolti nell’antologia – che sicuramente, via via, lo tenevano informato nei minimi particolari sull’andamento dei loro mondi con resoconti sulla stesura di queste meravigliose storie. E colpisce che in questa microfiction introduttiva si faccia riferimento, oltre che alla materia oscura spesso favoleggiata, ad altrettanto oscure e inafferrabili manovre di sabotaggio e ritorsioni professionali, che lasciano il dr. Parilliòn infine impazzito, perbacco!, lasciando smozzicati appunti poetici: un’evoluzione drammaturgica che ammonisce su certe dinamiche incongrue ben poco nobili che chiunque abbia un profilo etico condanna, al netto della suggestione fatale e un po’ faustiana di questo epilogo (dell’incipit) che rimanda anche alla fine ingiusta del simbolo dell’amore per l’Uomo e per la Scienza che è Prometeo: non c’è certo da compiacersi che chi si adopera per coltivare e diffondere la conoscenza venga condannato da comportamenti di un “branco” che “‘n’ c’ha capito niente” o anche da parte di una divinità (o anche solo un'”autorità”) gelosa e intollerante. Quel che interessa invece, sul piano pratico, ai lettori sicuramente numerosi de “Il Fiore della Quintessenza”, è che al curatore, con le sue forze impegnate a fondo dall’operazione, sia riuscito, analogamente al suo personaggio, di emettere dalla sua “antenna”, “tra le frequenze e i bagliori” e trasmettere ai posteri, questo corposo assemblaggio di scritture e visioni: un’antologia tutta da sfogliare nei suoi certo non solo metafisici petali-pagine!

Sergio Mastrillo

La postfazione dello sciamano della SF italiana, Sandro Battisti, al di là della sua ieratica imperturbabilità da autore pluripremiato, è – come dicevo prima – un accorato suggello all’antologia per il suo invito profondamente sentito ad abbandonare la miseria del tagliando annuale per l’automobile, la scacazzata indecorosa del barboncino della matrona sciatta sul marciapiede vicino casa, l’insensibilità vergognosa e ingiustificabile di chi non rispetta il dolore altrui, e scegliere invece di snobbare il mainstream e i suoi critici che si permettono di nutrire ancora vetusti pregiuidizi verso la Fantascienza – perfino quella nuova, che sta avendo la rigogliosa fioritura a cui assistiamo – e viaggiare verso ineffabili spazi e tempi, in cui la Materia si confonde con lo Spirito, in cui l’Energia parla un diverso Linguaggio, in cui la Trascendenza si mostra come il vero destino per la mente umana, postumana e transumana. L’universo, afferma Battisti, “a malapena ci tollera” e alcuni, stizziti, ricambiano un po’ disperatamente invadendo la vita altrui dando giudizi distorti, oppure contunando imperterriti a spargere plastica ovunque, o ancora stringendo patti per l’importazione di droghe che distruggono la gioventù. Battisti, radicalmente, spinge per un’exit dall’antropocentrismo e verso un “percepire ciò che sembra impossibile”, andando oltre le limitazioni del nostro sistema sensoriale. Fa sensazione quando accenna a “empatie che il mainstream nemmeno sa immaginare”, perché di fatto a me sembra che sull’empatia, concetto tanto caro al mio ideale maestro Philip K. Dick, dovrebbero lavorare seriamente in tanti, qui sulla terra, al di là del tipo di letteratura di genere o meno, e che sarebbe sacrosanto farlo da subito, superando ciascuno i propri paradigmi idiosincratici, ben prima di trovare una nuova casa nelle stelle. In attesa di diverse sponde cosmiche con cui interfacciarci sarebbe bene tornare a una maggior fiducia e ad abbracci virtuali e reali e metaforici specie ora che la pandemia sembra tramontata.
Indiscutibile è l’orgogliosa rivendicazione, da parte dello sciamano, dei progressi e della maturità raggiunti dalla SF italiana, come già accennavo in precedenza, anche a confronto con qualche risultato di decenni precedenti, in termini di verosimiglianza intesa come coerenza e coesione del narrato, pur senza rinunciare al sense of wonder. È così infatti che va inteso e apprezzato, per Battisti, il concept del curatore: come un’avanzata proposta che – speriamolo – ha anche una componente surreale forte che rimanda alle vertiginose combinazioni di Escher. Io personalmente, sulla scorta sia del Surrealismo storico, appunto (perché non includere Dalì stesso, o Max Ernst, nel discorso?), sia forse ancor più della New Wave fantascientifica lanciata e sostenuta da Ballard (ma naturalmente poi anche da altri) credo che non siano necessariamente “noiose istanze umane” (come si legge nella postfazione) quelle che sono il sostrato comunicativo ed emotivo dei racconti di Davide Del Popolo Riolo, o della Giovanna Repetto, e di Andrea Viscusi e Donato Altomare e Alessandro Forlani; direi che la dimensione realistica – sicuramente “asfittica” in molti casi ordinari – quando viene rielaborata criticamente in un messaggio e/o satirizzata con modi parodistici, permette sia l’identificazione durante la lettura sia la suggestione di possibili futuri magari non proprio utopistici ma almeno correttivi rispetto alle storture reali della nostra società. Certo, l’aspirazione a grandezze incommensurabili e a prospettive alternative in dialogo con alterità antropologiche radicali che sono vicine all’Essenza ha il suo indubbio fascino, ma ciò che in definitiva risulta vincente nella Fantascienza – specie questa contemporanea e matura – è il mix di approcci e tematiche, dalla speculative fiction alla heroic fantasy, dalla SF umoristica al solarpunk – ma senza dimenticare il cyberpunk originario – sul cui portato sociopolitico di rivolta verso il turbocapitalismo dell’avere e della rapacità credo che noi fantascientisti siamo tutti d’accordo – fino alle forme sfumate di realismo magico e di weird, e senza negarsi lo stimolante piacere di creare dei crossover tra queste etichette che, come ammonisce il nostro Dario Tonani, non devono certo diventare vessilli da difendere con le unghie ma piuttosto repertori a cui attingere e da rielaborare nel rispetto degli orientamenti altrui. E questo è esattamente ciò che è stato realizzato con questo fantastico e ricco volume, che Battisti dunque chiude magistralmente col simbolo dell’infinito e di un ritorno che non sia quella sorta di trappola in fin dei conti teorizzata da Nietzsche, ma che consenta sempre il dinamismo e la vivacità di una variazione che sia progressista e progressiva.
Complimenti a tutti!
– Nelle prossime puntate analizzerò i racconti uno per uno. Stay tuned! –

il7 – Marco Settembre

sab 21/52022 + sab 4/6/2022

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