D’accordo che qui su Cyberpunk Italia siamo nel dominio degli experiments rischiosi e “arrischiati”, come si dice a Roma, però non mi aspettavo di dover mettere mano a scatole di munizioni creative e interfacciarmi con reticoli di improbabilità galoppante per disinnescare una fitta e inedita trama di attentati meta-psichici alla mia faticosamente costruita organicità intellettiva ed esistenziale. E invece è proprio così. La mia collaborazione a questo sito e alla Pagina FB connessa è risultata una realtà indigesta per qualcuno, ed ora devo dar fondo al mio repertorio di contromisure strategico-narrative per difendermi. È successo apparentemente in sogno, mentre, privato delle mie coperture identitarie di ingranaggio del Sistema con tanto di titoli per essere riconosciuto dai Regimi Finanziari a bucce di cipolla, stavo fluttuando nell’iperspazio grazie ad un vecchio masterizzatore esterno collegato in multiplex con una serie di gallerie virtuali del sottobosco quotidiano del Post-Surrealismo del deep trip web, e mi aspettavo di incappare solo in avvincenti allucinazioni oniriche con al massimo la presenza di qualche testa di androide senza mascella o in qualche dark lady dal segnale video graffiato che se la svita e riavvita con una sorta di chiavetta USB dal suono simile allo sferragliare di un treno a vapore… e invece s’è affacciata quasi dal nulla questa minaccia, che, essendo potenzialmente letteraria, appare serissima: sono costretto quindi a dare una dura “musata” sul noto concetto antropologicamente errato di mappa che coincide con, anzi incarna, il territorio (mentale) – il rimando è alle note riflessioni di Gregory Bateson. Intendo dire che sono costretto a misurarmi con la mappa mentale che l’attentatore si è fatto di me, della mia realtà, che sotto metafora è il territorio. Credo che “lui”, diversamente da quanto accade nelle persone, abbia rilevato tutte le innumerevoli eterogeneità, differenze ed idiosincrasie presenti nella mia realtà, e negli incavi cyborg della mia memoria, ma che se ne sia fatto un’idea sbagliata, che però gli piace al punto da volerne fare non, comunemente, una informazione, ma una contro-informazione a proposito di me, da affidare poi alle trasmissioni via satellite di una mezza dozzina di subdoli contrabbandieri broadcaster di storie morbose (pare che anche alcune forze di polizia non ufficiali russe e cinesi si contendano questo tipo di materiale). Sono obbligato dunque, in questa situazione, a calarmi in una surrealtà inquietante in cui ciò che mi viene imposto come teoria su di me, su un piano fantasmatico e opaco, ha la forma di una nuvola di riferimenti concreti che dovrò smontare uno per uno, per aver salva la vita. Mi spiego meglio: c’è qualcuno che, irritato dal mio modo di scrivere masticato e postmoderno, ha deciso di pormi sotto un tiro, anzi sotto una pioggia di terribili ucronìe personali, basate sulla voluta distorsione di microeventi della mia storia di vita. Ad esempio: secondo lui, quando inseguii Marcellus lungo la via che porta al quartiere Roma70, secondo “lui” ero armato ed avevo a bordo della macchina una puttana; e ancora, quando un tale fece un editing da dilettante su un mio brano, io non solo mi incazzai, ma secondo “lui” depositai una carriolata di sterco sul tappetino della porta di casa del presunto e presuntuoso editor; ma non solo: quando mi fidanzai con la mia compagna storica, secondo “lui” non furono due ragazze mediocri della mia ex comitiva di allora a cercare il telefono di quella mia nuova fiamma e a telefonarle spinte dalla gelosia per sabotarmi la relazione, ma no, secondo “lui”, il mio nemico, fu questa mia nuova ragazza a mentire, dicendo di aver ricevuto una telefonata misteriosa per vedere se reagivo come qualcuno che aveva qualcosa da nascondere; altro caso: secondo “lui” non è solo che mia madre si ritrova ad avere un po’ d’Alzheimer, essendo anziana, ma addirittura è inviperita con me perché crede che gli abbia rubato dei vestiti dall’armadio per andare a girare in via del Corso vestito da donna, e quindi, essendo convinta di questo, per vendicarsi avrebbe detto ai miei amici che lavorano nel mondo dell’arte che io sarei un rozzo, un bugiardo, un iconoclasta e un folle che non si cambia abbastanza spesso i calzini! 😀
Sarà pure, tutta questa manovra orchestrata in sogno da questo stronzo, materia per un romanzo di fantascienza delirante che magari scriverò in tempi migliori, ma non è un modo simpatico, direi, per condurmi a parlare delle ucronìe, termine che ho poco sopra utilizzato. L’ucronìa, a voler essere onesti, non ha a che fare con le storie individuali o con la psicologia (riprenderò il discorso in seguito), ma è piuttosto un sottogenere della fantascienza che si fonda appunto su un procedimento letterario del tutto peculiare: si immagina e si dipana, a beneficio del lettore più esigente, un mondo parallelo in cui la Storia umana ha intrapreso un corso diverso da quello che conosciamo, e l’esempio più noto ci è offerto da “La svastica sul sole” o, nell’originale, “The man in the high castle” (pubblicato nel 1962 e vincitore del Premio Hugo come miglior romanzo) del grandissimo Philip K. Dick.
Nello scenario globale descritto da Dick, le forze dell’Asse malauguratamente hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, e di conseguenza la Germania nazista ed il Giappone si sono spartiti il territorio americano. Il Terzo Reich, per non smentirsi, gestisce la popolazione ad esso sottomessa con grande rigidità e negando ogni diritto potenzialmente pericoloso per il loro Stato, mentre i giapponesi esercitano un controllo meno brutale ma sottilmente insidioso sugli sconfitti. La formidabile trovata dell’autore però non è tanto questa, quanto quella di aver dato vita ad un personaggio che è anch’egli uno scrittore e che ha pubblicato, nella sua dimensione, un’opera in cui si narra, viceversa, che è stato Hitler a perdere la guerra! Questo testo si configura quindi come un libro nel libro, che svolge una funzione provocatoria speculare a quello di “La svastica sul sole”.
In generale, però, l’ucronìa (dal greco οὐ, non, e χρόνος, tempo) significa “nessun tempo” ed il termine è evidentemente coniato in analogia con utopia, “nessun luogo”; gli anglofoni usano invece l’espressione più immediata alternate history, tradotta con Storia alternativa o allostoria (ancora dal greco αλλος, diverso), ma la sostanza è che ci si ritrova spesso alle prese con un contesto di fantapolitica (altro sottogenere della fantascienza o suo tema componente) che può essere utopico o più spesso distopico, mentre per chi scrive ucronie ambientate in secoli molto lontani da noi, si pone senz’altro la necessità di documentarsi accuratamente sul periodo trattato, per conferire credibilità ad una narrazione che fatalmente si approssima a quella del romanzo storico. Può essere infatti affascinante ipotizzare cosa sarebbe successo se Napoleone avesse vinto a Waterloo o se i sudisti avessero vinto la Guerra di Secessione americana o magari, venendo alle cose di casa nostra, se Umberto Bossi fosse riuscito ad ottenere l’indipendenza della Padania; forse per fare una cosa originale, avrebbe prosciugato la laguna di Venezia per farci pattinare il figlio, chissà. In realtà, forse per non pestare i piedi alle nuove destre, in Italia si è pensato di indagare ipotetiche pieghe divergenti prese dalla Storia ai tempi del fascismo; uno scrittore italiano, Giampietro Stocco, ha costruito un romanzo, “Nero italiano” sull’eventualità che in qualche mondo parallelo, Mussolini avesse scelto di non entrare in guerra. Gli antecedenti di questo sottogenere sono numerosi, ed anche gli esempi più recenti, non solo in letteratura ma nel cinema, nelle serie TV e perfino nei fumetti. Restando alla letteratura fantascientifica, un altro eccellente esempio di ucronìa può essere considerato “La macchina della realtà”, ambientato in un’Era Vittoriana alternativa, con tutto il contorno di scoperte industriali meccaniche che ne fa anche non proprio il primo romanzo steampunk ma quello che ha assicurato la notorietà a quest’altro sottogenere, non fosse altro che per essere stato scritto da William Gibson e Bruce Sterling.
In questo lavoro, il noto scienziato proto-informatico Charles Babbage, realmente esistito, è però riuscito in un’allostoria, a far funzionare il suo prototipo di macchina differenziale (il titolo originale è “The Difference Engine”) e Lord Byron è assurto al potere politico con il suo Radical Industrial Party. Il tutto in un 1855 in cui il Regno Unito è una florida e bene armata potenza coloniale, mentre a Manhattan governa Karl Marx (!) e la Germania è fuorigioco, perché frantumata in staterelli. I servizi segreti indagano sulla sparizione di un supporto in cui era conservato un programma di dubbia origine ma che si sospetta sia di capitale importanza tecnico-scientifica. I protagonisti sono chiamati ad inseguire questo software, scritto su schede perforate (!), ma potenzialmente in grado di far crunchare (come si direbbe oggi con un’italianizzazione di dubbio gusto dall’inglese) il delicato equilibrio del diciannovesimo secolo. Da verificare come certi sistemi automatizzati a cui noi siamo sin troppo abituati si integrano, nel mondo di questo romanzo, in un panorama urbano di una Londra che ricorda pur sempre per molti aspetti quella del Dickens di “Tempi difficili”. Da quanto detto risulta chiaro che lo steampunk non è che una variante dell’ucronia che si è particolarmente sviluppata, dando vita ad un sottogenere a parte che, proprio a causa delle suggestioni storiche messe in gioco, si traduce spesso, come in questo caso, in una particolare storia di spionaggio. Ma ora mi chiedo: se già nel 1990 Gibson e Sterling immaginavano che Rivoluzione Industriale e Rivoluzione Informatica si fondessero e che il Calcolatore Analitico di Babbage potesse influenzare quello che oggi è il nostro presente, non dovrei temere io che qualche testa d’abbacchio per non dir di peggio metta in moto la sua perversa Macchina della Realtà modificando le mie percezioni mentre, elettroliticamente collegato al mio setting metainformatico arrangiaticcio con cavi e cavetti neri o traslucidi, faccio surf notturno tra immensi cataloghi di sogni acidi e mandrie di dispositivi ibridi che switchano e videochattano in centinaia di dialetti diversi?
Ecco, appunto: è giustificabile allora anche già a livello di ucronìe questa fioritura di mondi paralleli? Potremmo davvero assistere, magari mettendo un piede in fallo e cadendo in qualche altra dimensione, ad una versione differente di ciò che attraverso il Tempo s’è evoluto in modo da prendere la forma apparentemente immodificabile che conosciamo? La risposta probabilmente la conoscete già: da quando Einstein ci ha stravolto la vita parlando di curvatura dello Spazio-Tempo e del principio di relatività, chi ha il vizio di tenersi informato su queste cosucce sa che può aspettarsi quasi di tutto. E dico “quasi” soprattutto perché la letteratura fantascientifica deve continuare ad osservare certe regole, mica per altro. Perché se dovessimo dipendere dal grado di certezza che la fisica ci offre sulle parvenze del reale, ci verrebbe da dubitare anche delle possibili scaturigini dello spremiagrumi elettrico, dato che nell’esperimento paradossale immaginato da Schroedinger la stranezza del mondo quantistico non è detto che scompaia, nei sistemi macroscopici, anzi purtroppo è capace di minacciare anche il misero gatto legato al nome dello scienziato testè menzionato. Il gatto, nonostante sia da noi amato come “sistema aperto e complesso”, come lo definirono gli studiosi che discussero il caso, può sempre ritrovarsi, nel corso della sua vita, intrecciato in uno stato di correlazione quantistica con una particella, anche se solo fosse a causa di una “miscela statistica”. Io, come molti altri, sappiamo di non sapere, su questi argomenti, ma anche la nostra abitudine di raccontare o ascoltare storie subiscono le conseguenze metafisiche di questa incertezza, accidentaccio! Non si può pretendere che gli scrittori affascinati dal futuro scrivano solo hard science fiction.
Anzi, meno male che c’è ancora qualcuno, legato all’idea di una vecchia Sinistra gloriosa, che ha ipotizzato, come base per una ucronia, che nella cosiddetta “Prima Repubblica” fosse il PSI e non la DC il partito guida. Alla Costituente poniamo che prenda più voti della DC e che Nenni diventi Presidente del Consiglio. Mettiamo il caso, poi, che durante un viaggio in America Nenni rompa con i comunisti e riceva l’appoggio degli americani: le destre si presenterebbero coalizzate nel “fronte nazionale” che comprenderebbe democristiani, monarchici e neofascisti. Si determinerebbe una scissione nella DC che porterebbe alla nascita del “Partito Popolare” di Dossetti insieme a quei democristiani contrari alla collaborazione con la Destra. Alle elezioni del 48 immaginiamoci dunque il PSI al 49%, FN al 31%, PPI 7%, PCI 6%, PLI 3%, PRI 2%. Con queste premesse, quali sarebbero poi gli sviluppi? Utopistico-romanzeschi o semplicemente positivi? Esercitatevi a casa.
Ma poi guardate cos’è successo a me (e torniamo al discorso iniziale): il principio dell’ucronìa o della Storia alternativa è talmente suggestivo che uno psicopatico si è preso il disturbo di annunciarmi, in sogno (ma è meglio tenere gli occhi aperti ed i firewall attivi anche di notte, allora), che avrebbe deviato il percorso di innumerevoli mie schegge di vita portandole tutte a tradursi in danni a me e ai miei familiari, a meno che io non giocassi al suo perverso gioco munendomi di una o più griglie elettronico-esistenziali e andando ad inquadrare e rimettere pazientemente a posto tutti questi episodi da lui trasformati e resi morbosi, riuscendo forse in questo modo ad appagare quella che per questo balordo dev’essere una drammatica sete di ordine. Un ordine che lui non sa comporre, e che anzi compulsivamente devasta nelle vite degli altri grazie a poteri di neuroprogrammazione di tastiere vecchie, poteri che magari lui stesso detesta ma che sa utilizzare con estrema abilità, creando queste costellazioni di incubi, di situazioni abnormi di estrema esplosività emotiva. Ripeto: credo ce l’abbia con me per il mio stile di scrittura, ma non c’è dubbio che stia speculando sordidamente su molte cose che sa di me. C’è un lato oscuro quasi in ogni storia e lui sa come amplificare i miei. Se ne verrò a capo, sarà solo per la mia maniacalità, il mio senso razionale di giustizia e la disciplina nell’indisciplina. Per il momento, per non soccombere, devo guardarmi dentro, frugare anche in vecchie cartelle in laptop abbandonati e in dischetti esagonali rimasti sepolti sotto la spazzatura accanto al lavello della cucina e disinnescare una ad una tutte le bombe di profondità che il mio nemico mi sgocciola addosso durante la nostra sospensione: nuclei di solitudine armata; insulti brucianti che avrei ricevuto da gente importante ma strana; femmine malate e seminude in posizione da ragno; la circostanza che il mio editore mi avrebbe sempre chiesto, per ogni pubblicazione, il pagamento di tre milioni esentasse; una sacca di sangue coagulato che si assesta impercettibilmente prima di calare a ghermirmi, la moglie disoccupata di un mio parente che odia la filosofia, la quale non solo passa il tempo bamboleggiando, ma addirittura deraglia e dice che avrebbe sentimenti da killer e che io sarei un viziato che però ha viaggiato troppo poco (!?); e infine uno pseudointellettuale autistico (o solo autista?) che non sa giudicare le situazioni, e quindi prende posizioni provocatorie sparando sentenze offensive ma che paradossalmente ritiene che sia io ad essere difficilmente gestibile e ad avere desideri di dominio (!?!). Tutte menzogne, ma molto puntuali, aoristiche, che devo impegnarmi strenuamente a respingere, articolando al volo tensiostrutture virtuali difensive in 7D. Ma forse eccolo, l’ho individuato, è lui: il responsabile è proprio quest’ultima mezza figura, questo tipo che crede che io dovrei essere “gestibile”… ma perché? A che titolo? E da lui, poi?? Voi lettori accettereste mai che qualcuno pretenda di “gestirvi”? D’altronde, quando qualcuno vuole diffamarti, manipola non la Storia ma la tua storia personale, producendo contro-informazione, contro-narrazioni, ucronìe nel senso etimologico, e sventolando tutte le tue sliding doors cibernetico-mnestiche dimenticate. Ognuna di queste costruzioni può incastrare il gatto di Schroedinger o farti sprofondare la vita in un tombino, e perciò vanno smontate sollecitamente rivelando il pregiudizio discriminante che c’è alla base, ma quanto a voi scrittori/lettori, mi raccomando, pensateci prima, non calatevi in ucronìe troppo apocalittiche che non siano letterarie e non date confidenza ai lestofanti!
il7 – Marco Settembre
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