Un brano movimentato da “Ci capiscono poco”

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Non so se io debba perdere sempre il sonno pensando a come giustificarmi, rischiando peraltro di sembrare patetico o balordo, eheh, ma anche stavolta avviso che in questo brano mancano alcuni elementi cyberpunk tipici, e però vi assicuro che ve ne sono altri piuttosto in linea con le caratteristiche del genere: il caos metropolitano, la strenua resistenza alle avversità di un personaggio chiaramente condannato alla low life, dettagli tecnologici (qui legati ai motori e a contesti urbani post-industriali) e subculture sordide impegnate in loschi traffici. Ultimo preambolo: la storia è ambientata nella Roma del 2079. Si tratta di un romanzo ancora inedito (sto scegliendo la casa editrice) articolato in diverse parti, sempre nel mio stile contaminato, crossover. Buona lettura!

(…da pag. 15…) Il ragazzo era moderatamente disperato, perché di certo era sconvolto e affranto per la perdita della madre, ma sapeva anche che lei conduceva una vita grama, avara di frittelle, e che quindi forse non era stata troppo dispiaciuta per essere rimasta schiacciata una volta per tutte sotto all’architrave del piccolo casino di otto stanzette, strette come guanti di gomma. Inoltre, Fabietto aveva sia la cosiddetta bellezza dell’asino, nel senso che era giovane, nervoso e con le sopracciglia rasate e con dei bei denti grossi, sia una inclinazione alla violenza che lo aveva portato una volta a rompere un bottiglione in testa ad un giocatore di biliardo che nel baretto pressurizzato “Da Cynzya” si era rifiutato di cambiargli in gettoni una banconota da 5 Yen. Questa inclinazione gli sarebbe stata utile, ora, per reagire allo sconforto, ma ancora più per combattere contro Wurts. Il suo motorino e l’aviogetto astrale di quell’ossesso sfrecciarono tra gru di ottocento metri con “braccia” di gomma a penzoloni, e squadrati agglomerati di rifiuti solidi le cui forme sembravano arrampicarsi sul cavalcavia 807, ma distorcendo le finestre a ghigliottina; un tassì romanesco andò a cozzare contro una farmacia ambulante con delle ali cicciotte, e dei rotori con l’abitacolo stretto evitarono il vuoto d’aria che s’era formato ma andarono, fuori assetto, ad atterrare a rimbalzella, grattandosi nel lungo attrito il carrello su una piattaforma che era scattata in fuori da una palizzata aerea con sopra la pubblicità di un formaggino schifoso. Naturalmente, in quel caos eccezionale che agitò il cielo proprio in quel tratto suburbano, non mancò il vero imprevisto: il motorino volante di Fabietto, che da tempo necessitava di una revisione, iniziò ad andare fuori di giri: il radiatore sfarfallava e l’andatura di conseguenza era scattosa, condizionata dalla perdita di kerosene e filamenti di bobina.

Illustrazione a cura di il7 – Marco Settembre

Il ragazzo capì che di lì a un paio di minuti sarebbe stato raggiunto da quella testa di minchia che lo inseguiva, e quindi optò per una manovra spericolata rimasta peraltro l’unica opzione: virò con una traiettoria a cuneo ribaltato e s’infilò a tutta velocità in un vecchio autodromo-bunker dove centinaia di manovali s’erano andati a rintanare per scambiarsi occhi e testicoli al riparo da (altri) occhi (più) indiscreti. La struttura era un ovoide con quindici spigoli di troppo, un po’ degradato e con balconcini chiusi da verandine di alluminio anodizzato, tutte abusive.
Fabietto si ritrovò a volteggiare scoppiettando a singhiozzo in un lungo spazio perimetrale che doveva essere una enorme intercapedine tra la parete ovest del complesso edilizio ed un suo contrafforte interno, progettato come fortificazione del nucleo centrale, a sua volta suddiviso in ventotto reticoli. Proseguì per altri seicento metri in quella direzione, poi svoltò in una specie di grande fessura nel cemento, a destra, entrando in un ambiente che sembrava la parte superiore della copertura, in amianto e bauxite, di tre corridoi storti sottostanti. Lì lasciò andare il motorino, che sgusciò via da sotto il suo culo smunto e andò a sbattere contro una parete spaccandosi due bielle e un pezzo del manubrio. Lui rotolò quattro volte ma poi ricadde in piedi, in tempo per vedere la navetta personalizzata da guastatore di Wurts, il suo stramaledetto inseguitore, sfilare davanti alla spaccatura nel cemento senza entrare nell’apertura.
Pensò: “Quello stronzone m’ha perso di vista”, e poi iniziò a guardarsi intorno, e vide che in fondo, leggermente sulla sinistra, c’erano i resti di un vecchio ascensore per barbabietole vive, con tutti i piloni di ferro piegati, e accanto al rottame un gruppetto di sei persone, di cui due tizi staccati dagli altri, che gesticolavano come rapper banalotti inaspriti da una cattiva recensione.

Fabietto si ricordò che quella era una fabbrica in cui si erano installati manovali scambisti, ma che lì si svolgevano anche pompaggi sonori – diretti verso il Mar Tirreno attraverso monumentali casse acustiche fatte di calcestruzzo e materiale aeronautico – pompaggi degli indecifrabili suoni di indiavolati rave parties registrati alla Cecchignola.
Si avvicinò, e quelli inizialmente non lo notarono, perché indaffarati a litigare: i due che gesticolavano dicevano di non essere stati loro a martellare due delle tre doppie piastre Technics rimaste a Roma Sud, ma gli altri non gli credevano. Ad un tratto uno di questi notò Fabietto e disse:
“Merda, quello ci guarda!”,
e un altro fece:
“Mi sa che non è umano: cammina e non dice niente, come Big Jim”.
A quel punto, Fabietto per ingraziarseli si presentò:
“No, guardate che io sono uno con un formidabile orecchio musicale, riuscirei a sentire perfino…”
SKKKAAATATRAAANNGGG!!!
Proprio in quell’attimo non si riuscì invece a sentire nulla tranne lo schianto terrificante prodotto dall’astronavetta di Wurts, che entrava a razzo sbracandosi metà di entrambe le fiancate passando per una apertura nella parete opposta del lungo tunnel, una apertura che era esagonale e troppo stretta, perché prevista per far entrare, ai tempi della fabbrica, i bocchettoni dei rifornitori di gas, morfina, vitarelle e bulloni. La navetta distrusse le finiture in alluminio del portello facendole arricciare in una danza di ghirigori di metallo. Non si era ancora fermata, in mezzo al fumo e alla polvere di paprika, ché già Wurts col suo elmo funerario ne era uscito tirando calci ai rottami rotolanti con i suoi piedoni da Bud Spencer versione barbaro. 
Uno dei sei “locali” allora indiereggiò, e vedendo il pennacchio dei Carabinieri in cima all’elmo di Wurts, disse:
“Tu che sei in versione barbaro, non è che per caso potresti indagare su mia sorella Barbara? È scomparsa tre mesi fa; portava uno scarpone al posto del cervello, si riconosce subito!”
(…continua…)

il7 – Marco Settembre
mer 3/6/2015 1:47
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